Giuseppe Leuzzi
Nella lunga invettiva contro la madre (la sua propria
madre, Angela, non la figura materna), “Il fuoco che ti porti dentro”,
Franchini introduce “’O zappatore”, la canzone di Libero Bovio di un secolo fa,
di forte retorica familista e sociale (lo zappatore irrompe nella festa cui partecipa
il figlio, che ha mantenuto agli studi,
e gli “insegna” a riconoscere e onorare “la madre”, le origini), e conclude
l’episodio: “Queste senso d’inferiorità dello zappatore, che si rovescia nel
suo contrario, è lo stesso di Angela, è lo stesso di tutto il Sud” – “ciò che
la canzone ostenta è soprattutto la fierezza del contadino, la sua superiorità
morale sul signore, una supremazia ribadita dalla posa guappesca”.
Il Sud guapperìa?
Si critica il progetto di autonomia
differenziata per problemi probabilmente di equità, ma dimenticando quella di
cui hanno beneficiato e beneficiano - con Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia
Giulia - la Sardegna, con profitto, e la Sicilia, con disastri – il
sottogoverno del sottosviluppo. Le leggi sono uguali per tutti, ma vedere che
benefici ha tratto dallo statuto speciale il Trentino-Alto Adige, montagnoso e
aspro, chiuso, diventato la regione più rica, civile e pulita d’Italia (e del
mondo teutonico), e cosa ne ha fatto il giardino delle delizie Sicilia, che si
può obiettare?
Commentando la lettera di un’accademica,
Caterina Carpinato, specialista a Venezia di lingua e letteratura neogreca,
scandalizzata dal “teatro gremito plaudente” al leghista Salvini a Catania, il
catanese Francesco Merlo evoca “l’eternità del Sud come scenario naturale degli
imbonitori, verso i quali a Catania viene esibito un misto di soggezione,
sottomissione e fatalismo pur covando diffidenza e disprezzo”. È possibile. C’è
gente di destra anche a Catania, che ce l’ha con gli immigrati, con l’Europa, e
con i giudici giustizieri – da molti decenni è tutta l’isola a votare a destra,
irrimediabilmente. Ma è il volto della politica al Sud.
La famiglia avunculare
Si pratica in molto Sud, in
Sicilia, in Calabria, a Napoli, oltre al genere queer liberamente in
famiglia, dello zio, la zia ostinatamente celebi e un po’ misantropi, il rapporto
familiare avunculare, dei figli che crescono con gli zii, la zia, lo zio. Nel
rispetto e l’affetto degli e per gli zii. Specie se non sposati, o allora senza
prole. Un uso probabilmente magnogreco, poiché in Grecia in antico era diffuso
e ricordato – una delle tante eredità greche dall’antico Egitto, di cui le
storie non tengono conto, dove era pratica legale al vertice dello Stato, nella
successione dei faraoni..
Il rapporto non si trova in
letteratura perché i letterati al Sud sono sempre stati allogeni – del resto, non
ce n’è traccia neanche nella letteratura scientifica, neppure nei meandri
freudiani. Ma è stato a lungo un fatto, e da quello che si può vedere e sapere
personalmente lo è ancora. Antonio Franchini nell’ultimo racconto, “Il fuoco
che ti porti dentro”, ha molte insofferenze verso le famiglie, e più ancora
verso il verso il Sud, partendo dalle intemperanze e i pregiudizi, o modi di
dire, della propria madre. Ma è, e lo testimonia
ripetutamente, avunculare in misura al Sud ormai sconosciuta o non più
praticabile: rispettoso e legatissimo a zie e zii, gli unici suoi personaggi
amati, di cui racconta a a più riprese con ammirazione e affetto.
La nuova questione
meridionale
Non è la Lega, non l’autonomia
differenziata, non è Roma o Bruxelles il nemico del Sud: il nemico del Sud è il
Sud. La politica gira a vuoto al Sud, ancora come sempre - con pochissime eccezioni,
Mancini in Calabria, Moro a Bari, D’Alema nel Salento. Rituale, sconnessa,
improduttiva e perciò negativa.
La spina dorsale è debole e
debolissima del Sud. Che si pregia delle cartoline dell’Unesco, di storia e di
bellezza, della cucina, dei turisti, delle esportazioni (“il Sud aumenta le esportazioni
più del Nord” - dell’uno avendo fatto due rispetto all’anno precedente). Mentre
il fatto è “l’economia congelata del Sud, il Pil ancora sotto di 7 punti
rispetto al 2008”. Che Gianni Trovati può chiamare sul “Sole 24 Ore”, ironicamente?,
“diseguaglianze”: “Anche l’anno scorso crescita a + 0,7 per cento, poco più della
metà rispetto all’1,1 per cento del Nord”. L’anno scorso come i precedenti:
“Anche nel 2021 e nel 2022 il prodotto interno lordo a Nord è cresciuto più che
nel r esto del Paese, come è accaduto costantemente fra 2020 e 2019”.
Con in più la crisi demografica
- chi l’avrebbe detto, il Sud si spopola, la famosa “donna del Sud” finalmente
si scopre, determinata a non fare la fattrice: la “produzione pro capite è ferma
dal 2016 al 56 per cento di quella settentrionale per il calo della popolazione
residente”. In un quadro generale sempre di sottosviluppo: “Il Mezzogiorno “fra
2007 e oggi ha cumulato un differenziale negativo di crescita rispetto al Nord
di 9 punti”. Con il risultato che il pil del Sud è ancora sotto di 7 punti
rispetto ai livelli che precedono la crisi del debito pubblico scoppiata nel
2008-2009”, quasi vent’anni fa.
È aumentata l’occupazione: al
Sud è aumentata nel 2023 de 3,1 per cento, molto dipiù che al Nord, 1,7 per
cento. Ma “un’occupazione che corre più del prodotto interno lordo denuncia in
media una flessione della produttività, cioè della causa strutturale del
deficit di crescita”.
Milano
non è più la meta
Giovanna
Maria Fagnani registra sul “Corriere della sera” la “fuga degli insegnanti da
Milano, il costo
della vita è troppo alto, in 796 lasciano la città, per il sud Italia”.
Ritornano. Anche la bidella Giuseppina
Giuliano, venuta alle cronache perché per mesi ha viaggiato ogni giorno da
Napoli a Milano,
e viceversa, non potendosi permettere “un letto in condivisione” a Milano: ha
ottenuto il trasferimento.
Era successo negli anni 1990 col personale ospedaliero, la paga non bastava a
pagarsi vitto e alloggio,
succede ora per l’insegnamento: si accetta la nomina al Nord, ma appena si maturano
i numeri per il trasferimento si chiede il ritorno a casa, o nelle vicinanze.
Non si direbbe
nemmeno un ritorno, è solo una strategia di nomine nel pubblico impiego. Per la
peculiarità italiana di un costo della vita molto differenziato, a parità di
servizi e consumi. Il modo di vita è uguale al Nord e al Sud. Ma in gran parte
del Sud, nei paesi e in qualche città, uno stipendio pubblico consente un tenore
di vita anche elevato, mentre a Milano non basta.
“Tra le regioni di
destinazione in testa il Lazio, la Sicilia (con la provincia di Catania al
primo posto), la Campania (Napoli al primo posto), la Puglia (soprattutto a
Bari e dintorni). Il 15 per cento circa si sposterà verso altre province
lombarde, Monza Brianza, Bergamo e Brescia in testa
- anche qui probabilmente per il costo minore degli affitti”.
Ma il
Sud si è (anche) svuotato
Nei
dodici anni dal 2012 il Sud ha perso 600 mila residenti. Circa 1,3 milioni i
movimenti in uscita dal Sud
e dalle isole verso il Centro-Nord, e circa 700 mila i trasferimenti in
direzione opposta. La
regione del Sud da cui si parte di più è la Campania, che ha la popolazione
maggiore (quasi 6 milioni)
rispetto a Sicilia (5 milioni) e Puglia (4): uno su tre migranti dal Sud viene
dalla Campania. Che però
è anche la regione con il maggior numero di immigrati. Qui con sospetto d’illegalità, camorristica
o di caporalato, su cui ora indaga la Procura Antimafia sollecitata dal capo
del governo:
nel
click day del “decreto flussi” d’immigrazione 2024, Napoli ha fatto più
domande di nulla osta di tutta la Lombardia.
Negli stessi anni 2012-2023,
secondo un’elaborazione della Banca d’Italia, 30 mila laureati del Sud si sono
trasferiti all’estero, 138 mila al Centro-Nord.
Il familismo amorale
non è criminale
Ripetutamente critico, nel memoir sulla madre
“vaiassa” e “sgherra”, “Il fuoco che ti porti dentro”, della sorta di
protoleghismo meridionale, comunque napoletano, che il Nord, e specialmente
Milano, doveva immancabilmente vituperare quaranta e cinquanta anni fa e
ridurre in briciole, Franchini evoca il “familismo amorale” come motore del
malaffare. Conclude anzi il racconto ricordando il suo libro “L’abusivo”, sull’assassinio
del giovane giornalista Giancarlo Siani da parte della camorra, che aveva l’intento
“di mostrare come certi meccanismi di violenza, di sopraffazione, di amoralità
fossero latenti nella relazioni private della società meridionale, anche
borghese, prima ancora che nella criminalità organizzata”. Tesi ardita, anche
se ha avuto spessore sociologico.
È la vecchia tesi di un
vecchio libro di Edward C. Banfield, sociologo inglese, 1956, il primo studioso
della mafia. Si deve a lui il “familismo amorale”. E nel familismo la radice –
insieme con altri pseudo-concetti, come l’omertà – delle mafie. Il familismo
amorale peraltro estendendo a tutta l’Italia: per l’italiano la famiglia resta
la massima espressione di statualità.
La sociologia non è più
anglo-sassone - anche se l’economia e la politica, la vita comune, lo sono più
che mai, nel “pensiero unico” - ma qualche distinzione è opportuna. Banfield
dava spessore scientifico a Longanesi, che però era un battutista, e il “tengo
famiglia” lo voleva sulla bandiera italiana.
Franchini sanziona il legame famiglia-mafia
con l’aneddoto che gli ha raccontato “uno scrittore napoletano”. Suo fratello,
il fratello dello scrittore, spiega alla madre, che gli chiede perché è
preoccupato, che ha messo incinta una ragazza, e la madre lo rincuora: “E tu
dici ca nun è ‘o toio…”. Che non è meridionale, benché suoni alla Totò, e
certamente non è mafioso. Alcune pagine prima Franchini vitupera la madre, tema
del suo memoir, fra le altre nefandezze, per avere “trovato un posto”
alla sorella maggiore come insegnante di religione, arruffianandosi i preti.
No, la madre studia psicologia, pedagogia e le altre materie di magistero, per
accompagnare negli studi la figlia, e poi anche teologia: la sorella aveva
tutti i titoli per insegnare religione, anche se gli incarichi venivano
demandati al vescovo.
Le famiglie sono unite, e sono anche disunite, anche
al Sud. Le mafie purtroppo no – o allora è guerra, fino alla morte.
Cronache della
differenza: Puglia
Con un minimo di preparazione
chimica si può produrre olio d’oliva con solo il 4 per cento della materia prima
propriamente detta, produrlo regolarmente – è uno dei famosi regolamenti
europei. Ma a Cerignola hanno fatto di più: hanno perso olio di semi e lo hanno
trasformato in olio evo. Illegale, come ha dimostrato
“Gambero Rosso”, ma ben fatto. Il malaffare richiede applicazione.
“Accanto
alla più grande acciaieria d’Europa non è sorta nemmeno una fabbrica di
forchette” è battuta micidiale del film “Palazzina Laf”, di Michele Rimndno
(che ne è anche regista e attore) e Alessandro Riogrande. L’industria di base che
avrebbe dovuto fare d a volano per lo sviluppo – il “grande balzo” per cui fu
famoso il presidente Mao. Una teoria errata, oppure ottimistica. Ma è vero che
niente è sorto attorno alle “cattedrali nel deserto” che dovevano promuovere il
Sud. Non per colpa dello Stato che aveva investito.
Sempre
in “Palazzina Laf” l’acciaieria di Taranto è un’isola del più cupo localismo.
Dall’orizzonte basso, bassissimo, benché la fabbrica esportasse, ed esporti, in
tutta Europa. Perfino nel linguaggio: si privilegia il dialetto stretto (altri
filmati lo addolciscono), indistinto per i più, coi sottotitoli.
Si dice Gaetano
Salvemini di Molfetta. Come se fosse una tara, un non luogo. Lo stesso dice ripetutamente
Stinchelli nel suo pamphlet online contro “La verità sull’affaire Muti-Barcaccia”. Lo
stesso, un po’, indirettamente, dice Arbore, che pure è di Foggia – un po’ più
su di Molfetta, essendo
capoluogo?, che si professa napoletano.
Si può
essere eletti a destra e fare l’assessore in una giunta di sinistra. Forse per
questo Bari era la città
della fiera del Levante.
Il
Salento, che ha soppiantato la Toscana nell’immobiliare agreste degli
anglo-americani ricchi, ha fatto un miracolo trent’anni fa con i fondi per il restauro
dei centri storici, ha riscoperto il grikò, e i fondi europei per le
minoranze linguistiche, ha ripulito anche le spiagge, e ora ospita, per la grande
capacità di accoglienza, il vertice dei Sette Grandi, che è una baraonda. Più
il papa. Trent’anni fa era area depressa.
Il Salento ha
molte ricchezze, che infine, con la spinta del senatore Acquaviva e del romano
D’Alema, ha messo in valore. Quelle naturali, ambientali. Quelle storiche
e artistiche hanno avuto un solo patrono, la lombarda Maria Corti, nei quattro
anni che insegnò a Lecce, e dopo. Prima del boom turistico, quando il Salento
ha scoperto se stesso.
È la vecchia tesi di un vecchio libro di Edward C. Banfield, sociologo inglese, 1956, il primo studioso della mafia. Si deve a lui il “familismo amorale”. E nel familismo la radice – insieme con altri pseudo-concetti, come l’omertà – delle mafie. Il familismo amorale peraltro estendendo a tutta l’Italia: per l’italiano la famiglia resta la massima espressione di statualità.
La sociologia non è più anglo-sassone - anche se l’economia e la politica, la vita comune, lo sono più che mai, nel “pensiero unico” - ma qualche distinzione è opportuna. Banfield dava spessore scientifico a Longanesi, che però era un battutista, e il “tengo famiglia” lo voleva sulla bandiera italiana.
Franchini sanziona il legame famiglia-mafia con l’aneddoto che gli ha raccontato “uno scrittore napoletano”. Suo fratello, il fratello dello scrittore, spiega alla madre, che gli chiede perché è preoccupato, che ha messo incinta una ragazza, e la madre lo rincuora: “E tu dici ca nun è ‘o toio…”. Che non è meridionale, benché suoni alla Totò, e certamente non è mafioso. Alcune pagine prima Franchini vitupera la madre, tema del suo memoir, fra le altre nefandezze, per avere “trovato un posto” alla sorella maggiore come insegnante di religione, arruffianandosi i preti. No, la madre studia psicologia, pedagogia e le altre materie di magistero, per accompagnare negli studi la figlia, e poi anche teologia: la sorella aveva tutti i titoli per insegnare religione, anche se gli incarichi venivano demandati al vescovo.
Le famiglie sono unite, e sono anche disunite, anche al Sud. Le mafie purtroppo no – o allora è guerra, fino alla morte.
Saranno stati gli anni, o la fatica del concerto appena concluso a Verona, ma nel messaggio finale, pure di forte humour inglese, Riccardo Muti, una vita a Firenze, Milano, Chicago, Ravenna, la città dove gestisce la sua orchestra di giovani, nonché Vienna e Salisburgo, riprende un forte accento pugliese (cadenza, tonalità). O ci sarà un imprinting linguistico. Si parla come in famiglia.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento