lunedì 17 giugno 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (563)

Giuseppe Leuzzi

L’autonomia differenziata in effetti non ha a che vedere con il Sud. Quale Asl, quale Regione, avendo diecimila, ventimila, centomila in un anno interventi chirurgici da provvedere non si butterebbe nel business, meglio se in ospedali propri cioè, un business eccellente, tutto in autonomia già da molti anni alle Regioni. Invece il Sud ne fa volentieri a meno, Campania, Calabria e Sicilia soprattutto, felice di regalare il tesoretto al Nord – il buon ospedale è da Roma in su.
 
Malaguti, direttore della “Stampa”, il giornale di Torino e degli Agnelli, commenta il G 7 con: “L’euro-Meloni e l’inutile spettacolo di Borgo Egnazia”. Sarebbe stato “inutile” lo “spettacolo” se si fosse tenuto nelle Langhe – “inutile” non può essere un G 7, non lo è stato?
 
Dell’odio-di-sé – o dell’inglese
Nella corvée quotidiana anti-Meloni, “la Repubblica” propone la lamentazione di una lettrice che legge anche il “New York Times” e vi ha trovato la definizione di Borgo Egnazia in Puglia, dove Meloni ha tenuto il G 7, come di un “villaggio Potiomkin”, cioè di cartapesta. Il rubrichista Francesco Merlo, che è di Catania, ci costruisce su l’estetica del falso, e conclude: questo Borgo Egnazia “è l’Italia falsa di Giorgia Meloni”.
Una teoria di cui Dagospia ha fatto un lancio a tutta pagina. Sotto vignette da “scompisciarsi dal ridere”. E il titolo: “Il ‘New York Times' stronca Meloni per la scelta del resort come sede del G 7”.
È curioso: se il resort è in Toscana o in Umbria, anche nel Veneto (ce ne sono di ricchissimi, anche con doppio campo da golf), va bene, se è in Sardegna o in Puglia è speculazione (in Sicilia e Calabria mafia, che altro). L’odio-di-sé c’è, non l’hanno inventato Theodor Lessing e Roger Scruton, e quello meridionale è fortissimo.
Si può capire l’anti-melonismo – è parte della politica. Ma non bisognerebbe anche chiedersi se la lettrice non è una “provocatrice” – come si diceva ai tempi del Partito. Cioè, riscontrare la cosa sul quotidiano newyorkese, che è pubblico, perfino online. Che dice il contrario, di Meloni fa l’elogio: “Il primo ministro italiano è stata uno dei pochi leader rafforzati dal voto per il Parlamento Europeo. Questa settimana ha la possibilità di mostrare il suo peso su un palco anche più ampio”. O il lettore non va rispettato?
Certo, bisogna sapere l’inglese. Si può capire Dagospia, D’Agostino non sa l’inglese, ma al giornale ex di Scalfari – lui non lo sapeva, ma i successori?
 
La koinèe mediterranea di Calvino
“Molta gente ha la stessa faccia, non dico degli italiani meridionali, ma dei liguri: la koiné mediterranea è un po’ tutta lo stesso minestrone”, Calvino a Tripoli, ottobre del 1963, annota girando per il suk. Era arrivato preoccupato: “Cara Chichita”, scriveva alla fidanzata a Parigi subito dopo lo sbarco, “un paese in cui non si vedono donne prende subito un’aria sinistra”.
Invitato dall’Istituto Italiano per tenere delle conferenze, Calvino resta spaesato per qualche giorno. Preda, scrive alla fidanzata, dell’ambasciatore per i pasti, che essendo solo, e uno del vecchio genere diplomatico, della conversazione vacua, se lo tiene stretto e lo deprime. Poi va a Sabratha, vede Leptis Magna, un po’ si riconcilia con la città. E ne scopre perfino la storia – di cui fa alla fidazata una sintesi ancora utile.
Al mercato, scrive, “ho cominciato a capire un po’ questo mondo, a entrarci, a non sentirlo  più tanto estraneo”. Per le facce. E anche per la storia: “Tripoli per molti secoli è stato il porto dei pirati che venivano a saccheggiare le nostre coste; la popolazione è mescolata, per via degli schiavi (di cui Tripoli era un grande mercato)” – allora come oggi, si direbbe – “e vanno dai negri dell’Africa nera ai veneziani e ai genovesi, di cui sopravvivono i nomi e la tradizione in famiglie arabe originariamente di schiavi portati qui. Nella vecchia Tripoli (che doveva essere molto bella quando era una mescolanza di popoli e l’Italia fascista la teneva come una colonia di lusso puramente rappresentativa spendendoci miliardi) sono scomparsi il quartiere dei marinai (greci, maltesi, ciprioti etc.) e il vicino quartiere ebreo, perché tutti se ne sono andati, e gli arabi si sono stabiliti informemente dappertutto. Ma questa rivincita araba è anche la loro decadenza (nonostante che ora abbiano il petrolio e pure che ci sia meno miseria) perché si chiudono sempre di più in se stessi”.
 
Severo il giudice di padre calabrese
Samuel Alito, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, non è meridionale, è nato a Trenton,  New Jersey, ha studiato a Princeton, è stato avvocato dello Stato federale americano, poi consulente del ministro della Giustizia, etc. etc, tutto molto americano, fino alla nomina alla Corte Suprema nel 2008. Dove è diventato il giudice più controverso. Non tanto per la giurisprudenza. È conservatore, ma dalle decisioni inattaccabili – erede, si dice, di un altro giudice supremo italo-americano di tendenza conservatrice, molto rispettato, Antonin Scalia. Per i modi spicciativi. È il tipo del vaffa. Per esempio, da ultimo, sull’alzabandiera a casa sua a rovescio – “lo ha fatto mia moglie, mia moglie è libera di avere delle opinioni” (erano i giorni della Befana del 2020, quando Trump si agitava per la “vittoria rubata”). Per il carattere. Di cui l’America, perbenista, deve scandalizzarsi. E quando una giornalista ha diffuso l’audio di conversazioni registrate di nascosto fingendosi amica di sua moglie, che sognava una bandiera con su scritto “vergogna”, in italiano, in risposta alle bandiere LGBTQ+, e l’America si è scandalizzata, non della registratrice occulta ma della moglie, non ha mosso ciglio.
Cose americane, perché parlarne? Questo Alito, per quanto sconosciuto, sembra un personaggio noto. E il motivo viene fuori subito, su wikipedia: è di padre calabrese, di Roccella Ionica (la madre era italo-americana, di genitori provenienti dalla provincia di Potenza, Palazzo San Gervasio). E questo lui è, sembra il calco di un genitore calabrese, e come lui decide: tace, riflette, e decide, senza arretrare di fronte alle critiche. Mai quando si tratta della famiglia: risoluto. La madre era maestra, il padre professore di liceo e poi, presto, direttore a vita del New Jersey Office of Legislative Services, un’istituzione statale.
Non è tutto. L’imprevedibilità il giudice Alito spinge anche sugli orientamenti. Nei curricula fa larga parte agli studi del costituzionalismo italiano. La sua laurea magistrale nel 1972 è stata uno studio della Corte Costituzionale italiana, “An Introduction to the Italian Constitutional Court”. Con ringraziamenti a Giuseppe Di Federico e Antonio La pergola, due giuristi di sinistra, all’epoca socialisti.
 
Cronache della differenza: Napoli
Pasolini, che amava Napoli, non ne apprezzava il tifo calcistico: Il tifoso (“Il mio calcio”) diceva “illuminato”, come le facce della pubblicità.: “Il tifoso di tipo, diciamo, napoletano, è un poco così: sa, è illuminato, beato lui, da una specie di grazia. A nulla valgono i ragionamenti…. Egli ha una porzione di cervello (la principale) staccata dal resto, e capace, sotto quell’illuminazione carismatica, di un solo, fisso, immutabile pensiero”. La fissità, “la maschera, la «macchietta»”, non gli piacevano: “Umilia l’uomo. Io ho pena quando vedo i tifosi, appunto, in maschera, con ciucciarielli, ecc. Nulla è più angoscioso dell’aspirazione «panem et circenses»: pensate a Lauro…”.

 
Non ha, non ha mai avuto, vocazione imperiale. Non sapeva nulla della Sicilia quando la governava – e non ne traeva nemmeno nulla, solo la malgovernava. O della Calabria, della Puglia. Le studiava – le faceva studiare – e poi non faceva nulla, di pratico – una strada, una fontana.
 
C’è molta Calabria nel memoir di Antonio Franchini sulla madre, “Il fuoco che ti porti dentro”. I fidanzatini di lei, uno bello, uno intelligente. I generi. L’appartamento a mare, a preferenza di Formia, nella babele “napoletana” da Praia a Mare a Paola, che si è creata negli anni 1970, con l’autostrada oggi del Mediterraneo, gratuita. C’era la possibilità di un ritorno della Calabria a Napoli, da tempo abandonata per Roma. Che subito è svanita: Napoli rumorosa e invadente ha creato più risentimenti che legami – risentimenti vissuti con disprezzo.
 
Ha fatto nel click day del “decreto flussi” immigrazione 2024, più domande di nulla osta di tutta la Lombardia. Nel 2023, ha spiegato la presidente del consiglio Meloni alla Procura Antimafia, su 282 mila domande di nulla osta per lavoro stagionale in agricoltura o nell’accoglienza, 157 mila sono arrivate dalla Campania. Con l’industriosità che mette nelle attività dubbie, la copia, il lavoto à façon, e ora i nulla osta immigranti, non farebbe faville nel grande capitale?
 
Vico nel 1725 mandò ai dotti della sua città “La scienza nuova”. Ignorato da tutti – “né pure un riscontro di averla ricevuta”, lamenta col padre Giacchi (“L’Autobiografia”, lettera del 25 novembre 1725) - come, dice, se l’avesse “mandata al diserto”

leuzzi@antiit.eu


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