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Chi dopo Xi?
Una struttura decentrata, federale, è
sempre più il tema del futuro dei tanti think tank accademici cinesi,
di università e istituti specializzati. Del dopo-Xi, però, quindi in attesa della
successione – ma il presidnete ha 80 e più anni.
Xi le ha provate tutte per ricentralizzare
nei suoi quasi vent’anni di dominio politico - a capo del paese da dodici, ma da
vent’anni capo del partito Comunista dominante. Contro, di volta in volta,
varie pestilenze che inevitabilmente hanno portato a decapitare il partito dei
possibili concorrenti: la corruzione, l’americanismo, la speculazione edilizia.
Ma il decentramento appare inattaccabile – nella natura della Cina. E forse della
sua continuità come stato unitario.
Su questo non ci sono dubbi, nessuno contesta
le forze del decentramento. Che vertono sull’asse Shanghai-Hong Kong contro
Pechino, il Sud più industrializzato e finanziarizzato (capitalistico).
Le macro-regioni economiche, quelle più
ricche e politicamente influenti sono cinque: Pechino, Shangai, Chengdu-Chongging,
il Delta dello Yangtze, e la Greater Bay Area (Canton-Hong Kong).
Il dibattito è aperto. Ma senza
eccessi. È stata l’unità infine ritrovata per una lunga stagione, senza Guardie
Rosse e campi di concentramento (di rieducazione), che ha fatto della Cina in pochi
anni, di un paese povere sovraffollato, un paese ricco e addirittura in crisi demografica
– era appena ieri che i cinesi uscendo dallo stadio dovevano rintracciare la
loro bicicletta, invariabilmente nera per risparmiare qualche centesimo sulla
manifattura, sotto camicie tutte eguali di forma e colore, ala Mao, anche qui per
risparmiare.
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