martedì 25 giugno 2024

La vittoria è dell’astensione

Si celebra Firenze, la prima volta una donna sindaco, la nipote di Piero Bargellini, sindaco amato, dopo La Pira, sindaco strabenedetto, eccetera, ottant’anni di grate memorie repubblicane, mentre il voto vero è stato l’astensione. Ha votato a Firenze il 48 per cento, meno di uno su due – in una dozzina di sezioni, di aree residenziali prospicienti il centro storico ha votato uno su quattro. In una città di residenti reali, cioè non emigrati di fatto, per lavoro, per studio, o voglia di cambiamento - Firenze non è il Sud. E tra chi ha votato un buon terzo ha votato destra, cioè contro.
Uno su due fiorentini non osa votare a destra, ma è stufo. Forse soltanto stanco, ma è la stessa cosa. Una città che ha perso la moda, l’editoria, l’università (confinata all’autostrada, per ragioni immobiliaristiche), la finanza, le mostre, e la bigiotteria, come no, la pelletteria, la paglia, e il ferro battuto. Del resto, la città non presenta un bell’aspetto, dopo trent’anni di governo ininterrotto Pds-Ds-Pd, di affarismo piccolo e grande, di mercatini e fierucole di ambulanti, e le giostre al posto delle Giubbe Rosse, b&b dappertutto e pizze in piazza, magari al piazzale Michelangelo, con lo svuotamento di ogni presenza qualificante e intelligente, per la riduzione della città a porto turistico. Di che giustificare i renitenti. Con trenta, o quaranta, o sono cinquanta, anni di discussioni su una pista di aeroporto. Per non dire del secondo ingresso degli Uffizi, deciso con concorso internazionale trenta, quaranta?  cinquanta?, anni fa, è poi non fatto. O le Cascine, parco unico della città, di grande lignaggio  anche bello, lasciato allo spaccio libero, da mezzo secolo ormai - il poco che ne rimane  dopo i ritagli per strade, incroci e parcheggi. Si è votato per cosa?


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