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Antologie – Francesco Ambrosoli, milanese, classicista, professore, cattolico, che
aveva stroncato la “Crestomazia” di Leopardi perché non aveva tenuto conto di un
certo Perticari e invece aveva dato spazio ad Alessandro Verri, pubblicò a sua
volta, nel 1831, un suo proprio “Manuale di letteratura italiana”. Che Giulio
Bollati, “L’invenzione dell’italiano moderno”, dice” pregevole lavoro”, archetipo
delle “odierne antologie per i licei” - ma Bollati scriveva nel 1968.
Blurb – “Simenon mette in
scena, alla sua maniera, il rapporto complesso tra un assassino in fuga e il suo
segretario” – la casa editrice Adelphi si adorna di questo blurb , a firma Maurizio Cucchi, sul “Robinson”. Cioè, dovremmo comprarlo?
Dante – Ma,
poi, dopo il tanto parlare di Maometto e i suoi viaggi (Asìn Palacios, Maria
Corti et al.), resta che Dante ben
conosce Ulisse, anche senza aver potuto
leggere l’“Odissea”. E quindi, perché no, la “Nekyia”, la lunga scena al canto
XI del poema omerico in cui Ulise va nella terra dei morti e vi incontra le
vittime dei trapassati. Sui quali Omero esercita, anche lui, il suo giudizio –
Minosse è miglior legislatore, eccetera.
I poemi omerici non erano disponibili, ma di Ulisse c’è
molto in Ovidio, Cicerone, Seneca, Orazio, e nei romanzi medievali.
Un tessitore e un colorista. E un anarcoide. Per il
su maggior lettore russo, Osip Mandel’stam, “Conversazione su Dante”: “Il
linguaggio poetico è il tessuto di un tappeto con molteplici orditi che si
distinguono l’uno dall’altro soltanto nella
coloritura dell’esecuzione…. Molto prima dell’alfabeto dei colori di Rimbaud, Dante
ha coniugato il colore con la pienezza fonica del discorso articolato. Ma lui è
un tintore, un tessitore. Il suo, di alfabeto, è quello dei tessuti fluttuanti,
tinti con polveri colorate, pigmenti vegetali. Il manufatto tessile in Dante è
la massima tensione della natura materiale
in quanto sostanza definita dalla sua colorazione. E quello della
tessitura è il lavoro più vicino alla pregevolezza, alla qualità”.
Dante è anche contro ogni determinismo,
meccanicismo, sia pure solo il segmento causa-effetto: Dante “provava ribrezzo
per il principio di causalità”.
Donna mussulmana – Prospetta ancora reazioni analoghe a quelle registrate novant’anni fa,
ottobre 1933, a Mosca dal poeta Osip Mandel’stam nella “ottava” n. 3 – nella
traduzione di Serena Vitale: “Farfalla, donna musulmana,\ avvolta in un lacero
sudario,\ creatura di vita e di morte,\
così grande – tu, vera!\ Enormi baffi mordieri\ e capo nascosto nel burnus.\
Sudario svolto come vessillo,\ ripiega le ali, ho paura!”.
Fallaci – Sfacciata,
nuda, la vuole Ljuba Rizzoli, vispa novantenne, in un’intervista senza veli con
Cazzullo sul “Corriere della sera”: “Era sfacciatissima”. Invitata dai Rizzoli
a Cap Ferrat, corteggiava il marito: “Faceva
il bagno in piscina nuda, abbracciava Andrea, andava in giro con lui mano nella
mano… Una sera eravamo a cena al Pirate, e notai che Oriana puntava un ragazzo,
Samir. «Guarda che quello lo devi pagare», la avvertii. Ma la Fallaci s’impuntò
e lo ebbe, gratis”.
Goethe – “Che cosa gli dava tanta gioia in Italia? La popolarità e il carattere
contagioso dell’arte, la vicinanza dell’artista alla folla” - Osip Mandel’stam,
“Giovinezza di Goethe”.
Gomorra – “Fu portato da
Helena Janeczek”, spiega di Saviano Francesco Anzelmo, ora direttore generale
Mondadori, a Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera”: “All’inizio fu
presentato a Edoardo Brugnatelli e a me, che seguivamo la collana ‘Strade blu’
(una collana di “autori originali e
innovativi”, n.d.r.). Arrivò Saviano con una borsa piena di giornali locali
della provincia di Napoli e ci illustrò il funzionamento della criminalità
organizzata, i sistemi di comunicazione interna eccetera”. “Il libro era già
scritto”, chiede Di Stefano. “Non ancora. Si decise poi che doveva essere un
libro di narrativa non fiction e quindi se ne occupò Franchini”, responsabile per
la narrativa italiana.
Italiano – “Un deserto di parole vane” agli albori dell’Italia? Troppo complicato
s’intendeva nel primo Ottocento, dopo essere stato lingua franca (per dotti e per
gente comune) fino al Cinquecento – lambiccato. Nella famosa lettera a Gino
Capponi del Capodanno 1825 Igino Giordani lamenta “quel detto ingiusto di molti
stranieri ed italiani, che per imparare la nostra lingua bisogna in un deserto di parole vane perdere assai
tempo”.
Kafka – (Fellini) “considerava Kafka
molto chapliniano” - Sergio Rubini intervistato da Antonio Gnoli sul
“Robinson”. Rubini aveva recitato per Fellini in “Intervista”, dove una troupe giapponese arrivava a intervistare
il grande regista mentre sul set dirigeva “America” di Kafka, che naturalmente
non stava facendo. “Qualunque cosa
volesse dire”, commenta Rubini della messinscena, “mi pare colga un punto
importante: la comicità di Kafka è l’altro lato del tragico”.
Malaparte – Ljuba Rizzoli
nell’intervista con Cazzullo sul “Corriere della sera” il 27 giugno ricorda di
averlo incontrato con Arturo Tofanelli, all’epoca suo fidanzato, il direttore
di “Tempo Illustrato”, per il quale Malaparte teneva la rubrica famosa dei “Battibecchi”:
“Curzio Malaparte non mi piaceva. Andammo nella sua famosa villa di Capri. Era agitato,
nervoso, violento. Si chiedeva: Dio sarà così stupido da farmi morire morire?”.
Malaparte era malato e morirà di cancro.
Non notizie –Sono
affliggenti, ma non si schiodano, nessuno può. Gamberale racconta su “7” di Dagospia
che al festival “Procida racconta” racconta della premiata Paola Turci che ha
lasciato la sposa Pascale per per un nuovo flirt, “un’attrice di vent’anni”, spiega la scrittrice, “di cui
(oltre all’età e alla professione) sbagliano anche il cognome”. Che è invece una
signora quarantenne, che Gamberale conosce personalmente, “impiegata di banca”,
nonché “responsabile dei social” della scuola di scrittura dove Gamberale insegna,
che si è trovata per caso su quel palco, frastornata, dopo avere partecipato
alla festa in piazza “con il suo amorevole fidanzato”.
Olocausto - “Il film di Liliana
Cavani fu un trauma”, Charlotte Rampling ricorda con Valerio Cappelli sul
“Corriere della sera”, a proposito del “Portiere di notte”, 1974: “A lungo non
seppi nulla dell’Olocausto, se ne cominciò a parlare solo negli anni Settanta”.
Calvino
parlava di Primo Levi nel 1962, scrivendo alla fidanzata, come di “un outsider”,
“un chimico”, che ha scritto un libro sulla sua esperienza di guerra.
Presentazioni – Paolo Giordano introduce Jon Fosse a Milano, al Teatro, al festival La Milanesiana,
per l’ennesima presentazione del nuovo libro del Nobel, “Un bagliore”, e per il
conferimento della Pergamena della Città di Milano. E si dice particolarmente
colpito dall’espressione: “E cadde il silenzio”. L’“evento” – la presentazione
– era intitolata tra settimane fa, in onore dell’ospite?, “Il Bagliore della Timidezza”.
Ma Fosse, discreto italianista, capito l’apprezzamento, si schermisce in inglese:
“Il merito dev’essere del traduttore. Non uso un linguaggio fiorito”, cioè figurativo,
proverbiale. E
il silenzio cadde sull’assemblea – il Piccolo di Milano è piccolo per modo di
dire, ha un migliaio di posti (è forse la sala più grande in Italia, più dell’Argentina
di Roma).
Fosse, dice lo specialista di letteratura norvegese Giuliano D’Amico, “combatte con la scrittura”.
Russia – Hermann Hesse
nasce in Germania, nel Württemberg, di madre nata in India, figlia di missionario
pietista, e di padre russo, Johannes Hesse.
Tebaide – C’è una
letteratura della tebaide, dei monaci nel deserto, in cui H. Hesse si cimenta, nota
Cusatelli nella prefazione a “L’uomo con molti libri”, a proposito del acconto
“Hannes”. Una “reviviscenza”: “C’era già stata”, nell’Ottocento positivista,
“tutta una letteratura di Tebaidi, con gli esempi francesi di Flaubert e di
Anatole France” – “la disposizione primitivistica e l’abrogazione dei parametri
spazio-temporali”. In quello, si può aggiungere, che sarà chiamato
“decadentismo”, in opposizione allo scientismo dominante.
letterautore@antiit.eu
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