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giovedì 6 giugno 2024

Virginia vista dal basso

Com’era la vita domestica di Virginia Woolf, vista da una delle sue serve, Nelly Boxhall, che è anche cuoca – l’altra, Lottie Hope, è un’orfanella, illusa inguaribile. La stanza è, ironicamente, antifrastica della “Stanza tutta per sé” di V.Woolf: quella delle sue domestiche è piccola, bassa, angusta.
Il romanzo si vuole della condizione e dell’occhio delle serve in casa della “banda” di Bloomsbury – le due donne hanno anche servito in precedenza e servono occasionalmente negli anni della narrazione (1916-1934, poi Nelluy finirà in casa di Charles Laughton ) in casa di Roger Fry, di Vanessa Bell, del fratello psicoanalista Adrian Stephen. Che vedono come “una banda di invertiti e di immorali, e che cambiano di letto, d’amante e di sesso”. Un occhio che Giménez-Bartlett vuole di classe. Senza la politica, ma di condizioni classiste di lavoro, di remunerazione, di dignità. Virginia non è la Padrona ma è bene la Signora – all’autrice è mancata la notazione che Virginia è cresciuta in una casa con otto domestici, a Hyde Park Gate. Senza mai una riga o una parola amichevole, diretta, semplice, anche di curiosità, nei quasi venti anni di frequentazione. Oculata sempre, perfino taccagna, benché non lo sapesse - era il suo dovere di Signora. Anche quando la casa editrice cominciò a funzionare, e ci furono soldi, tanti che la coppia Woolf poté comprare nuove proprietà o migliorarle, nei tardi anni 1920.
Con un po’ di contesto. Il gruppo di Bloomsbury gaudente, malgrado la guerra e il difficile dopoguerra, e trasgressivo – a beneficio delle serve? E la situazione al mercato, il luogo delle serve, sempre difficile, prima per la guerra e i bombardamenti, poi per la ripresa postbellica stentata, infine per la crisi del 1929.
Non un romanzo-verità, insomma, non svela nulla. Neanche nei ritratti feroci di Lady Ottoline Morrell, o della seconda amante di Virginia, Ethel Smith - una cafone, agli occhi delle serve.... Smontare il mito Virginia Woolf non è necessario e forse impossibile. Comunque non si fa qui. Quando muore “la signora Murry”, Katherine Mansfield, si opina che Virginia ne fosse gelosa, per la gioventù, la bellezza, e la scrittura. E se fosse? Il punto nodale, del contesto e infine della narrazione, è l’equivoco del progressismo. Qui l’autrice è sintetica e va al punto. Succede quando la Signora registra l’entusiasmo della serva per la vittoria dei laburisti nel 1929. “«Stiamo vincendo» ha detto Nelly durante il tè”, annota Virginia il 31 maggio 1929: “È traumatico pensare che entrambe desideriamo al vittoria del partito Laburista – perché? In parte perché non voglio che sia Nelly a governarmi. Penso che essere governati da Nelly e Lottie sarebbe un disastro”. È così. Ma dell’affettazione del gruppo di Bloomsbury non si scopre nulla – e anche delle opere che scarseggiano, a parte V.Woolf, solo resta l’esibizione sessuale, dell’omossessualità e della poligamia. 
Una promessa tanto attraente, quanto deludente è la lettura, stancante, e di nessun sapore. O quasi, se non per i riferimenti e le citazioni dai “Diari”. Il problema è anche questo, che la ricostruzione – il romanzo, dice l’autrice – si scontra con i “Diari”, cioè con quello che di Virginia Woolf si sa.
Che registrano anche anotazioni domestiche, ma non fanno mai questioni classiste, o di avarizia. Giusto di carattere. Con qualche occorrenza o aneddoto minimamente interessante. La stessa vita, delle domestiche è quella dei “Diari” della scrittrice, delle (poche) annotazioni che le concernono.  Con qualche materiale dalle biografie: di Virginia spesso dimessa e sciatta, o dell’abitudine nel gruppo di amici e parenti che si è convenuto di chiamare Bloomsbury di scambiarsi le domestiche – ma: se le scambiavano come mwrce, o per stima e affezione?
Riassumendo, l’autrice di Petra Delicado, l’ispettrice di Polizia che governa i misteri di Barcellona, s’impersona questa volta in una delle cameriere di V.Woolf e, attraverso soprattutto i diari della scrittrice, dà all’icona di molto femminismo e progressismo uno sguardo dal basso. Questo è il programma, che l’editore prospetta. Perché poi, di fatto, Virginia ne esce senza pregiudizio, e così la sua società mitizzata di Bloomsbury. E anzi, pur nel suo relativo classismo e poco senso pratico, attenta, anche generosa, e simpatica. Quello che si legge è la vita dei domestici un secolo fa, povera e incerta. Ma per questo basta, per chi non riuscisse a immaginare i lavori di casa prima dell’elettricità e del gas, la p. 74, trenta righe di cose da fare, ogni giorno - con l’aggiunta di p. 86: se si ghiacciano i tubi d’inverno, e si ghiacciano, non c’è l’acqua.
Alicia Giménez-Bartlett, Una stanza per tutti gli altri
, Sellerio, pp. 389 € 10

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