Virginia vista dal basso
Com’era la vita domestica di Virginia Woolf, vista
da una delle sue serve, Nelly Boxhall, che è anche cuoca – l’altra, Lottie
Hope, è un’orfanella, illusa inguaribile. La stanza è, ironicamente, antifrastica
della “Stanza tutta per sé” di V.Woolf: quella delle sue domestiche è piccola,
bassa, angusta.
Il romanzo si
vuole della condizione e dell’occhio delle serve in casa della “banda” di
Bloomsbury – le due donne hanno anche servito in precedenza e servono
occasionalmente negli anni della narrazione (1916-1934, poi Nelluy finirà in
casa di Charles Laughton ) in casa di Roger Fry, di Vanessa Bell, del fratello
psicoanalista Adrian Stephen. Che vedono come “una banda di invertiti e di
immorali, e che cambiano di letto, d’amante e di sesso”. Un occhio che
Giménez-Bartlett vuole di classe. Senza la politica, ma di condizioni classiste
di lavoro, di remunerazione, di dignità. Virginia non è la Padrona ma è bene la
Signora – all’autrice è mancata la notazione che Virginia è cresciuta in una
casa con otto domestici, a Hyde Park Gate. Senza mai una riga o una parola
amichevole, diretta, semplice, anche di curiosità, nei quasi venti anni di frequentazione.
Oculata sempre, perfino taccagna, benché non lo sapesse - era il suo dovere di
Signora. Anche quando la casa editrice cominciò a funzionare, e ci furono
soldi, tanti che la coppia Woolf poté comprare nuove proprietà o migliorarle, nei
tardi anni 1920.
Con un po’ di
contesto. Il gruppo di Bloomsbury gaudente, malgrado la guerra e il difficile
dopoguerra, e trasgressivo – a beneficio delle serve? E la situazione al
mercato, il luogo delle serve, sempre difficile, prima per la guerra e i
bombardamenti, poi per la ripresa postbellica stentata, infine per la
crisi del 1929.
Non un
romanzo-verità, insomma, non svela nulla. Neanche nei ritratti feroci di Lady
Ottoline Morrell, o della seconda amante di Virginia, Ethel Smith - una cafone, agli occhi delle serve.... Smontare il
mito Virginia Woolf non è necessario e forse impossibile. Comunque non si fa qui. Quando
muore “la signora Murry”, Katherine Mansfield, si opina che Virginia ne fosse
gelosa, per la gioventù, la bellezza, e la scrittura. E se fosse? Il punto
nodale, del contesto e infine della narrazione, è l’equivoco del progressismo. Qui
l’autrice è sintetica e va al punto. Succede quando la Signora registra
l’entusiasmo della serva per la vittoria dei laburisti nel 1929. “«Stiamo
vincendo» ha detto Nelly durante il tè”, annota Virginia il 31 maggio 1929: “È
traumatico pensare che entrambe desideriamo al vittoria del partito Laburista –
perché? In parte perché non voglio che sia Nelly a governarmi. Penso che essere
governati da Nelly e Lottie sarebbe un disastro”. È così. Ma dell’affettazione
del gruppo di Bloomsbury non si scopre nulla – e anche delle opere che scarseggiano,
a parte V.Woolf, solo resta l’esibizione sessuale, dell’omossessualità e della
poligamia.
Una promessa tanto attraente,
quanto deludente è la lettura, stancante, e di nessun sapore. O quasi, se non
per i riferimenti e le citazioni dai “Diari”. Il problema è anche questo, che
la ricostruzione – il romanzo, dice l’autrice – si scontra con i “Diari”, cioè
con quello che di Virginia Woolf si sa.
Che registrano anche
anotazioni domestiche, ma non fanno mai questioni classiste, o di avarizia.
Giusto di carattere. Con qualche occorrenza o aneddoto minimamente
interessante. La
stessa vita, delle domestiche è quella dei “Diari” della scrittrice, delle
(poche) annotazioni che le concernono. Con qualche materiale dalle biografie: di
Virginia spesso dimessa e sciatta, o dell’abitudine nel gruppo di amici e
parenti che si è convenuto di chiamare Bloomsbury di scambiarsi le domestiche –
ma: se le scambiavano come mwrce, o per stima e affezione?
Riassumendo,
l’autrice di Petra Delicado, l’ispettrice di Polizia che governa i misteri di
Barcellona, s’impersona questa volta in una delle cameriere di V.Woolf e,
attraverso soprattutto i diari della scrittrice, dà all’icona di molto
femminismo e progressismo uno sguardo dal basso. Questo è il programma, che l’editore
prospetta. Perché poi, di fatto, Virginia ne esce senza pregiudizio, e così la
sua società mitizzata di Bloomsbury. E anzi, pur nel suo relativo classismo e
poco senso pratico, attenta, anche generosa, e simpatica. Quello che si legge è
la vita dei domestici un secolo fa, povera e incerta. Ma per questo basta, per
chi non riuscisse a immaginare i lavori di casa prima dell’elettricità e del
gas, la p. 74, trenta righe di cose da fare, ogni giorno - con l’aggiunta di p.
86: se si ghiacciano i tubi d’inverno, e si ghiacciano, non c’è l’acqua.
Alicia
Giménez-Bartlett, Una stanza per tutti gli altri, Sellerio, pp.
389 € 10
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