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mercoledì 31 luglio 2024

A Sud del Sud - il, Sud visto da sotto (566)

Giuseppe Leuzzi


Il giudice Luca Tescaroli si è insediato da pochi giorni a capo della Procura di Prato e subito ci scopre la mafia. Quella cinese, delle “triadi”. Impegnata in una “guerra delle grucce”, gli appendiabiti di plastica – di filo di ferro per le lavanderie. La mafia è il dio dei giudici, è in ogni luogo.
 
A Firenze, dove era Procuratore Antimafia, il giudice Tescaroli lascia aperto il caso delle stragi del 1993 – a Firenze in via dei Georgofili. Aspettava sempre testimoni e prove che i mandanti sono stati Berlusconi e Dell’Utri. Questa è un’altra mafia, o è la stessa?
 
Si indaga per mafia anche il giudice Pignatone, quello che la mafia aveva scoperto anche a Roma. Per avere insabbiato trent’anni fa le indagini su “mafia e appalti”, il dossier aperto da De Donno e Falcone, su cui poi continuava a lavorare Borsellino. È incolpato insieme con l’allora sostituto Gioacchino Natoli e col generale della Finanza Screpanti, all’epoca capitano. L’accusa è di favoreggiamento - molto più che il solito concorso esterno che non si nega a nessuno: i tre avrebbero avvisato i mafiosi Buscemi e Bonura di indagini sui loro rapporti con la Ferruzzi di Raul Gardini, disponendo la distruzione di intercettazioni rilevanti, e l’archiviazione di fatti penalmente rilevanti. La mafia dei giudici però non sarebbe una novità.
 
“Sette in italiano, otto in aritmetica e nove in educazione civica: la pagella di Totò Riina alla terza elementare, a 22 anni, nel 1952. Il voto che più colpisce è il 9 in educazione morale e civica. Il maestro usava un tono reverenziale nei confronti di Riina, che già si atteggiava a boss”. A volte, la predestinazione.
 
Il recinto della memoria
Celebra Carlo Michelstaedter, nella sua rubrica sul settimanale femminile del “Corriere della sera”, Vittorio Sgarbi, celebrando anche Antonio Piromalli: “Coltivavo una vera passione per la sua opera”, di Michelstaedter, “grazie agli studi anticipatori di Antonio Piromalli, che per primo ne scrisse e che era di casa a Ferrara per il suo stretto rapporto con mio zio, Bruno Cavallini, alle origini della mia formazione”.
Piromalli, oggi dimenticato, è stato un letterato di variegato indirizzo, e di varie occupazioni (insegnante di liceo, preside, professore universitario) in varie città su e giù per l’Italia, perlopiù a Nord: Torino, Ferrara appunto, Bologna, Urbino. Nato a Maropati, nella piana di Gioia Tauro, al paese restando legato per affetti familiari. Finendo anche per morirvi – non proprio a Maropati, lì accanto, a Polistena: stroncato da infarto mentre si accingeva a presentare un romanzo di Fortunato Seminara, “Il viaggio”, da lui esumato postumo – con Seminara, anche lui di Maropati, è ora vicino di tomba nel cimitero del paese, in un “Recinto della Memoria”.
 
Callido Sud
La giudice catanese Maria Fascetto Civillo, condannata per tentata concussione e imputata di avere usato la qualità di magistrato “al fine di conseguire ingiusti vantaggi”, va al Csm dalla consigliera quasi conterranea e “amica” di partito (democristiani di Fratelli d’Italia), l’avvocata Rosanna Natoli, a chiedere consiglio su come comportarsi. Alla sezione disciplinare dello stesso Csm, di cui Natoli fa parte, che deve valutare gli “ingiusti vantaggi”. Le due usano anche il comune dialetto: quando Fascetto Civillo dice di voler denunciare tutti i suoi “colleghi invidiosi” a Catania, “io sono disposta a tutto, dottoressa”, l’avvocata consigliera Csm ribatte: “Sì, lei lo fa, ma noi ci facemu i pernacchi”, per dire non otteniamo nulla, accuse senza prove.
Martedì 16 luglio, quando la sezione disciplinare del Csm si accinge a ritirarsi in camera di consiglio per decidere sulla revoca cauteare dalle funzioni, Fascetto Sivillo, racconterà qualche giorno dopo  Bianconi sul “Corriere della sera”, “ha detto di dover riferire un fatto «grave» riguardante la consigliera Natoli: ha raccontato l’incontro, e il suo avvocato Carlo Taormina ha consegnato audio e trascrizione del dialogo”. Sconcerto. Al Csm, ma non a Catania.
Non in Sicilia. Neppure nella stessa Natoli, che si è limitata a lasciare la sezione disciplinare del Csm: il saltafosso, il trainello, il trabocchetto del dialettismo di Camilleri (o dialettalismo, il dialetto è altra cosa, di cui ora i “Quaderni camilleriani”, già al 22mo numero, avviano uno studio  “parola per parola”, alla ricerca del meccanismo della”consapevole creazione del vigatese”), è parte del bagaglio culturale, si direbbe morale, “superiore” dell’isola. Si dice – anche Sciascia – che sia l’amicizia a “perdere” l’isola, e invece no, è piuttosto il contrario, l’inimicizia, il sentirsi ostili a tutti, anche agli amici, specie agli amici. Da qui la furbizia, che sempre fa aggio – sulla dirittura, e perfino sull’interesse proprio. L’intelligenza in forma distruttiva. Non difensiva, aggressiva.
Papà, che in gioventù trovava i modi più disparati per spendere i soldi di suo padre, di cui si riteneva creditore perché lo aveva portato con sé in campagna dopo la sesta, quindi ai dodici anni, “ogni mattina alle cinque”, invece di lasciarlo agli studi e ai baciamano come suo fratello e le sorelle, volentieri anticipava dei soldi a chi glieli chiedeva per un bisogno urgente. O per comprarsi il biglietto per l’Australia o il Canada. O anticipare 400 lire, in società con l’apicultore, per comprare le arnie verticali invece di quelle orizzontali. O garantire il carrettiere che vuole passare, giustamente, al camioncino, e pagare qualche rata. Finché, presto, non sentì dicerie malevole sul suo conto, come prestare a strozzo. Allora adottò la frase: “Volentieri, come no, solo che adesso mi trovi in un momento di difficoltà”. Solo uno degli emigrati usava scrivere ogni anno per Nataale per ringraziare – la le ultime letere erano timbrate da un carcere.
L’esigenza di spendere riprese papà negli anni 1950, quando per una quindicina d’anni finanziò la banda cittadina, pagando un ottimo concertista, il maestro Perri, che la portò al livello di Fasano, allora la banda più quotata, e perfino a esibirsi un paio di volte con i Metropolitani di Roma, l‘eccellenza degli ottoni. Per non vedersi – ma ormai era morto – nemmeno nominato, nemmeno per caso, nella storia che è stata fatta del complesso bandistico “A. Rendano”.
Calabria non è Sicilia. Ma sì per il linguaggio, per la comune matrice, latina, del dialetto. In latino proprio la settimana del “trainello” al Csm il linguista Antonelli argomentava su “7”, a proposito del termine “callido”, ritenuto di uso letterario, che nell’archivio del “Corriere della sera” ne ha trovato invece, quando l’italiano era ancora impastoiato, poche ricorrenze, “ma concentrate più nelle pagine di cronaca giudiziaria che in quelle d’argomento letterario”. In latino, dove origina, callido ricorre come avveduto, accorto, ma anche astuto, “abile a fare i propri interessi, anche a discapito di quelli degli altri”.
È il segno - la “colpa” - di una società disgregata. Postborghese senza mai essere stata borghese. Autodistruttiva. Per invidia sociale. Sotto apparenze di legalità, progresso, intelligenza, cultura. Si confronti, per esempio, il democristianesimo locale, che si ritrova nel Pd come con Meloni, e già con Berlusconi, di parrocchia, così pieno di buone parole e così individuale, familiare, distruttivo, col parrocchialismo fattivo della Lombardia, del Veneto, del lavorerio. In Sicilia e anche in Calabria. Le regioni dove l’unica borghesia che si è formata nella Repubblica è quella mafiosa, che sempre si rigenera, della violenza. Della violenza illegale, a differenza della violenza dell’invidia, ma non, evidentemente, altrettato distruttiva.
La vera ragione del ritardo del Sud è stata, per un secolo e mezzo ormai, l’incapacità-impossibilità di organizzarsi, di avere una borghesia, un ceto sociale che costruisce piuttosto che distruggere il bene altrui. Di un senso di classe – si sarebbe detto qualche anno fa. Ma alla sommatoria costruttivo, produttivo di un valore aggiunto. Invece che distruttivo.
 
Cronache della differenza: Napoli
La capitana di una nave crociera saluta i suoi passeggeri allo sbarco a Napoli augurando “una buona pizza!”, e raccomandando “niente gioielli, troppi borseggiatori”. Sdegno della città. Perché, i borseggiatori non ci sono?
 
L’elogio di Montella allenatore della Turchia agli Europei Leo Turrini chiude ricordandolo come “un tipo che viene da Pomigliano d’Arco, patria della gloriosa Alfasud”. Il disegno fallito dell’allora ministro delle Partecipazioni Statali De Michelis, perché faceva ombra agli Agnelli – che cosa non si è fatto per “salvare” gli Agnelli (Pomigliano poi Marchionne l’ha salvata malgrado la Fiat e resta ottimo sito produttivo).
Pensare la Nissan al Sud, che poi ha fatto grande la Renault. Le case d’auto giapponesi rinvigorivano in quegli anni gli Stati americani del Sud, poveri e trascurati.
 
Riccardo Muti evoca la nascita e gli studi a Napoli, con casa a Chiaia, via Cavallerizza 14, e ricorda che quando ci è tornato qualche anno per curiosità, il portiere lo ha salutato così: “Vi tengo innanzi agli occhi ogni giorno”. Bello. Fiorito? Immaginifico? Sentimentale? Opportunista? Di tutto un o’.
 
Il nuovo allenatore del Napoli Antonio Conte si presenta ai tifosi parlando per due ore. Mah, non lo faceva nemmeno De Gaulle.  Castro però sì. Napoli avrà un’anima cubana?
 
Conte, licenziato da un paio di squadre in Inghilterra, viene assunto in pompa a Napoli. Per la presentazione si sceglie il Palazzo Reale. E 400 giornalisti si accreditano, si dice da tutto il mondo ma perlopiù locali, per ascoltarlo - “il massimo che consente l’affascinante location”. Sarà l’esagerazione pubblicitaria? O non sarà il massimo della stupidità?
 
“Due uomini entrano armati e col viso coperto in spiaggia a Torre Annunziata. Tempo di fare un giro fra i bagnanti del Lido Azzurro, probabilmente alla ricerca di qualcuno, per poi uscire. Ma non prima di aver sparato due colpi, con i fucili a pompa che imbracciavano”.
La mafia si sa che è spietata. A Napoli è teatrale.
 
All’Europeo di calcio Calzona ha tenuto sotto scacco l’Inghilterra di Bellingham, Kane, Fode per 95 minuti. Umiliato a Napoli, nello squadrone milionario, un allenatore tappabuchi, si è rifatto bello con la Slovacchia, ranking Uefa 45 – Inghilterra 3.
 
Per un calabrese a Napoli quello di Calzona era un esito scontato. In tanti secoli, millenni, di Regno, quanti calabresi ha illustrato Napoli? Campanella lo tenne prigioniero per 27 anni (Yourcenar se ne stupiva, più che scandalizzarsi), san Francesco di Paola preferì salvarsi in Francia, Telesio saltò sempre Napoli, stava meglio a Roma e a Venezia (fu solo ospite del duca Alfonso Carafa, ma a Nocera). E così via, fino al rigetto del Procuratore Capo Cordova – e anche l’attuale, Gratteri, comincia a dire “quanto mi manca la Calabria”.

leuzzi@antiit.eu

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