Cerca nel blog

giovedì 18 luglio 2024

Kafka dall’analista, si processa

Kafka si processa e si condanna.  Sotto ogni aspetto colpevole. Di mancata resistenza – di mancanza di carattere, che culmina nella frase finale, la vera condanna del processato: “E fu come se la vergogna gli dovesse sopravvivere”.
Uscito postumo, e letto come una sorta di testamento metafisico, sulla condizione umana, acquista alla rilettura un senso di saputo, di già visto, per chi dell’autore ha esplorato qualche aspetto personale, anche solo le corrispondenze pubblicate. Una specie di autoritratto in forma di autodiagnosi, come dall’analista.
Il personaggio, per quanto anonimo, è ben delineato. Ritratto sull’autore, su quello che di lui si è poi saputo, dalle lettere, a cominciare dal padre, e dai rapporti di lavoro, con le fidanzate, con gli amici. La colpa è ignota al “tribunale” stesso. Ma non all’autore. Il processato non è coerente, è anzi instabile, è debole, perso “in gelosie meschine, in falsi amori, in timidezze malate, in adempimenti statici e ossessivi” (Primo Levi, che ne è anche il traduttore). Che non era (probabilmente) Kafka, ma così si vedeva.
Franz Kafka, Il processo, Einaudi, pp. 268 € 10

Nessun commento: