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La fisica tedesca boicottò la Bomba
È la storia della guerra che Heisenberg non ha
voluto combattere, non per Hitler, non per la Germania nazista nemica del
mondo. O anche la “guerra” di Heisenberg contro il regime, determinata insieme
e sottile, anche se gli eventi poi gli diedero torto. Cioè non proprio torto,
ma fu come se la sua “gu
erra” sottile fosse fallita: la bomba atomica si fece
altrove, nel campo delle libertà, e fu anche usata.
È un libro di trent’anni fa, questo di Powers, un giornalista
vincitore già vent’anni prima del premio Pulitzer, famoso in America
all’uscita, non tradotto per lo strano conformismo italiano all’immagine
dell’America dura e pura. Si propone infine in italiano come contraltare a Oppenheimer
al cinema, per morderne il successo. È la storia della fisica, e più in generale della scienza, in Europa
sensibile agli aspetti deleteri delle sue ricerche, mentre in America trovò
fisici e tecnologi, Einstein in cima, convinti e indaffarati a preparare la
bomba, ebrei per lo più ma anche non, come Fermi, e poi assistere al suo uso.
Con pochi, oltre che tardivi, ripensamenti.
È la storia di come la scienza tedesca era la più
avanzata, il sistema industriale tedesco il più pronto, la disponibilità senza
limiti di uranio (Cecoslovacchia) e acqua pesante (Norvegia), ma il mondo scientifico tergiversò, rallentò, scoraggiò. Mentre in America furono gli scienziati a sollecitare
i politici, a trovare le risorse finanziarie, a costruire in fretta Los Alamos,
un centro di ricerca e sperimentazione inventato dal nulla.
Powers va oltre, nella critica agli Stati Uniti, alla
scienza negli Stati Uniti, con l’irrisione: il Progetto Manhattan, decantato
come una Iliade, i russi l’hanno riprodotto in pochi mesi, dopo Hiroshima. Ma il
suo lavoro è la ricostruzione di come Heisenberg, e il danese Bohr, tirarono la
questione per le lunghe, evitarono di prospettare, nonché non realizzare, la
Bomba.
Non ci
sono documenti, che Hitler poteva fare la Bomba e non gliel’hanno fatta. Però
ci sono dei fatti (in Germania, curiosamente, la patria della filologia,
difettano i documenti: non c’è una sola carta dell’Olocausto, i trattati Hitler
e von Ribbentrop dicevano buoni per il caminetto, eccetera). Hitler aveva
Heisenberg, premio Nobel nel ‘32 a trentun anni - il più giovane dei laureati
con Dirac. E Otto Hahn, Nobel per la fissione nucleare nel ’38. Ma spregiava la
scienza dell’atomo, “fisica ebraica”. Confortato da Philipp Lenard, è vero, il
fisico dei raggi catodici Nobel nel 1905, che nel ’22 rifiutò il lutto per
l’assassinio di Rathenau – “ non sospendo la lezione per un ebreo morto”:
scettico sulla matematizzazione crescente della fisica teorica, Lenard aborrì
la relatività e la fisica atomica, dove non trovava che ebrei. Heisenberg e
Hahn erano per Hitler “ebrei bianchi”. Non fece quindi la Bomba – ma Heisenberg
gli nascose che si poteva fare con cinquanta chili di plutonio, avendo
convenuto con Majorana che “la fisica non si può più separare dalla coscienza”.
Resta il fatto. È vero che Heisenberg e gli altri fisici
tedeschi erano “ebrei bianchi” per Hitler. Ma la fissione indirizzavano agli
usi civili. Quanto alla scienza battagliera, già Erasmo
nel Cinquecento la denunciava, per la polvere da sparo: “Oggi i morti in battaglia si
contano a migliaia e a diecine di migliaia, mentre prima c’era il duello, l’osservanza
delle regole. C’erano regole per ammazzarsi e non ci sono più. Di fronte a questa strage cambia tutto”.
Thomas Powers, La guerra di Heisenberg,
Fuoriscena, pp. 754 € 22
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