La giustizia in America – un oltraggio
I quattro racconti qui riuniti, gli unici dela sua
torrenziale produzione, King continua a considerare, come nella lontana
prefazione del 1982, opere occasionali – non abbastanza corti per essere racconti,
non abbastanza lunghi per essere romanzi. E invece sono sempre vivi, e
combattono insieme a noi.
Si parte col terribile “Rita Hayworth e la
redenzione di Shawshank”, una prigione federale. E questo, cento pagine, basta
per tutti. Il film che ne è stato tratto, già una quarantina d’anni fa, “Le ali
della libertà”, è considerato da molti siti il più bel film fra tutti. E
perché? Perché dà l’illusione della giustizia. Mentre questo King, come Lester
Thurow, fa un processo terribile alla giustizia americana. La polizia
superficiale quando non è corrotta. La funzione giudiziaria tutta politica, sia
l’accusa sia la magistratura giudicante, d’intrallazzoni che sanno di diritto: si
fa carriera politica, con un partito a protezione, e si fanno campagne
elettorali, “popolari”. Decidono le giurie popolari. Che sono avventizie, al
meglio sono realmente sorteggiate e non precostituite. Ma sempre decidono di cose che
più spesso non capiscono, e comunque non sanno – si basano sulle impressioni del
dibattimento, se l’avvocato difensore o l’accusatore è più o meno bello, abile,
della etnia giusta, e ha fatto una buona scuola di dizione: non sanno di
diritto, a partire dalla costituzione, ma giudicano in diritto, anche della vita
e della morte.
“Rita Hayworth”-“Le ali della libertà” inscenano un
bravo giovane, intelligente e generoso, che la moglie tradiva, condannato a
vita per l’assassinio della moglie e dell’amante, mentre è innocente. Una polizia
inerte, una giuria di stupidi, forti dell’orrido puritanesimo, il giudice che dirige il dibattimento per fortuna non c’è (è un
politico, anche lui), carceri di violenza senza fine e commerci di tutti i
tipi, un direttore del carcere bigottissimo (battista) e corrottissimo, prove
d’innocenza che non interessano nessuno. Un sistema che si può soltanto
truffare.
Racconti raccapriccianti, che prendono per
l’indignazione. Tanto più che rientrano in un filone apparentemente indistruttibile.
Del resto Kamala Harris, che impersona la democrazia oggi in America, è una che ha fatto carriera così, con la mano leggera verso la polizia manesca di San Francisco, e risarcimenti
minimi per gli errori giudiziari: è riuscita con questo, e solo con questo, non
ha attività politica, a scalare le posizioni fino a giudice di contea, giudice
federale, senatrice, vice-presidente, e ora candidata osannata alla Casa
Banca. Se la più grande democrazia del mondo è democratica (“la pù grande democrazia
del mondo “ s’intendeva l’India, ma ora che anche lì c’è “un fascista”….).
Con nuove traduzioni, di Simona Vinci, Stefano
Giorgianni, Andrea Cassini, Loredana
Lipperini.
Stephen King, Stagioni diverse, Sperling&Kupfer, pp. 506, ril. € 19,90
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