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Le due Resistenze – le due narrazioni
Un racconto-verità. Tra
fine 1943 e primi del 1945, nelle valli di Comacchio, della guerra civile, tra
i fascisti, con i volenterosi collaboratori, comandati dai tedeschi, le
esecuzioni sommarie, i lavori forzati in Germania, e la Resistenza, politica,
organizzata, e occasionale, disperata. L’“Agnese” del racconto è personaggio
reale, assicura l’autrice in una nota al testo. E Renata Viganò stessa è
personaggio in dramma, “Contessa”, alla macchia con un bambino piccolo, nelle
alterne vicende del marito, comandante di formazione partigiana, prigioniero
dei tedecshi e poi evaso, per diciannove lunghi mesi.
Un racconto sommesso,
mai un trionfalismo. Ma alla rilettura datato, all’ombra delle “magnifiche
sorti e progressive”, quali erano forse d’obbligo subito dop la guerra, quando
il racconto fu scritto e subito pubblicato – Renata Viganò era personaggio
letterario noto, poetessa esordiente già a dodici anni, nel 1912. L’uscita
occasionale in questa serie del “Corriere della sera” dopo “Il partigiano
Johnny” delinea due modi di raccontare (avere vissuto?) la Resistenza. Quella
fattuale, anche nela sua casualità, di Fenoglio, della narrazione piemontese in
genere, di Pavese e si può aggiungere di Calvino (“Ultimo viene il corvo”, “Il
sentiero dei nidi di ragno”), e quella invece, più o meno, di partito,
politica, pedagogica.
Renata Viganò, L’Agnese va a morire, “Corriere della
sera”, pp. 287 €8,90
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