venerdì 19 luglio 2024

Letture - 554

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Cattolicesimo
– Gli ultimi due Nobel norvegesi per la Letteratura, Sigrid Undset quasi un  secolo fa (1928) e Jon Fosse, sono due convertiti al cattolicesimo – hanno ottenuto il premio dopo la conversione.  Si parla di conversione opportunamente: in ambito luterano, spiega lo specialista di letteratura norvegese Giuliano D’Amico, il cattolicesimo implica un ambito spiritualistico, quasi metafisico – come se Lutero rianimasse Roma?
 
Denaro (moneta) – “Far girare gli affari è, quando tutto è stato detto e fatto, ciò per cui il denaro esiste” – Hjalmar Horace Greeley Schacht, “Confessions of «The Old Wizard»”, p.99.
 
Don Giovanni - Un comunicatore, un persuasore: il “dongiovannismo” prospetta come “la più sofisticata tecnica persuasiva” Nicoletta Polla Mattiot, “Il potere del silenzio”.
 
Gadda – Ma era gay? Si vuole (Arbasino, anche Parise) gay ma non si conosce una sola riga, o una sola affezione, in una vita pur variata e accidentata, in guerra, in Sud America, in Lombardia, a Roma, a Firenze, città dall’omosessualità già normalizzata, con i suoi riti e i sui locali, e di nuovo a Roma. Singolare l’ultimo scritto riaffiorato dalle carte, “Il calcio in costume”, pubblicato da “Robinson”. Singolare la freddezza della sua descrizione a fronte della carnalità dello spettacolo, che la rivista esibisce in fotografie. Uno scritto palesemente “alimentare”, per qualche rivista, per poche lire, svogliato. Nessun fremito per i corpi nudi, quale avrebbe esibito un Pasolini: i corpi maschi, atletici, nudi, avvinghiati, sudati e infangati, lo lasciano freddo. C’è da dubitare del gaysmo di Gadda, che è solo non interessato al sesso – capitava e capita in tutte le famiglie, anche se l’epoca sessuofoba-sessuomane, freudiana, non lo consente.   
 
Hebbel – Il narratore amato di Heidegger il banchiere Hjalmar Schacht ricorda nelle memorie (“Confessions of the «Old Wiazrd»”, pp. 51-52) in tempi grami – lo fa ricord are dal nonno: “Era  figlio di un muratore di Wesselburen, tra Büsum e Heide”, dove il nonno faceva un anno di praticantato da farmacista: “L’ho conosciuto quell’anno. Scriveva recite in chiesa (church plays), poverino. Aveva molta voglia d’imparare il latino, per poter leggere gli autori latini, e gliene ho dato lezioni per quasi un anno… Nessuno avrebbe creduto che avesse un futuro. Poverino, era ambizioso,  e pieno di strane espressioni artificiose. Ma intelligente – molto intelligente.”
Il rapporto è continuato anche quando il nonno di Schacht ha ripreso gli studi a Copenhagen. Testimoniato da un lungo rapporto epistolare. L’opinione del nonno, per quanto amichevole, non è molto positiva: “Più tardi Amalie Schoppe, la scrittrice di Amburgo, lo prese con sé, per dargli la possibilità di fare veri studi. E studiò, ma non penso che sia mai stato realmente felice. Era una di quelle persone che pensano di poter fare qualsiasi cosa. E non funziona così”. Qualche anno dopo, in memoria del nonno, Schacht pubblicò la sua corrispondenza, da studente laureando in Medicina, con Hebbel, su un’importante rivista, “Magazin für Literature” – le lettere di Hebbel poi sono confluite negli archivi Goethe-Schiller a Weimar.
 
Hemingway – “Un turista che sapeva scrivere”, Alicia Giménez-Bartlett lo fa dire dal suo personaggio Petra Delicado, in “Morti di carta”, 133.
 
Latino – Resterà in uso in Inghilterra e negli Stati Uniti, dopo la ripulsa del papa Francesco? In Inghilterra ha ancora un ruolo nella giurisprudenza, nella terminologia giuridica in genere, dal costituzionale “Habeas corpurs” in qua. Negli Stati Uniti ancora di più, e più frequentemente, nella pratica di polizia e di giustizia: subpoena duces tecum (comunemente subpoena), vi et armis, venire ….
 
Leggi razziali – “Verso agosto, non senza dolori burocratici, mia sorella ottenne di riprendere possesso del nostro alloggio, che era stato posto sotto sequestro durante le leggi razziali” (Primo Levi, “Il mitra sotto il tetto” - in “Racconti e saggi”). Agosto del 1945. Quattro mesi dopo la fine della guerra.
 
Elsa Morante – L’autrice de “La storia”, degli “ultimi”, non amava i poveri. Così la ricorda la nipote Laura, figlia del fratello, su “Robinson”: “Dai modi arroganti, dal disprezzo che nutriva per noi e per mia madre che era tutto il contrario di lei: dolce, paziente, ansiosa. La mamma amava gli ultimi, i perdenti. La zia no, e le si leggeva negli occhi”.
 
Resistenza – Nel racconto “Il mitra sotto il tetto” (ora in “Racconti e saggi”), Primo Levi ha i partigiani che sua sorella, 23 anni, “staffetta partigiana”, doveva ospitare, “feriti o, cosa frequente, «che non ne potevano più»”.
 
Slavo – È poi schiavo, nient’altro. Una verità semplice che Maurizio Maggiani richiama su “Robinson”: “Il destino degli slavi in un nome”. Che nasce attorno al Mille: “Perché gli slavi siano  divenuti gli schiavi va imputato a Ottone I detto il Grande”, Ottone di Sassonia – “sconfitti gli Slavi li tradusse in  massa nel suo regno perché fungessero da evoluti animali da lavoro a dispos izione del cronico deficit germanico di forza lavoro”. Cronico no, ma in certi frangenti sì.
Per i Romani c’era il servus, dice Maggiani, non lo sciavo. Ma un servo che modernamente si dice schiavo, comprato e venduto, come merce. La condizione servile degli slavi sconfitti era la novità, non la servitù, senza diritti.
In realtà la cosa è più complessa, anche per quanto concerne gli slavi, e anteriore e posteriore a Ottone I, come la ricostruiva un decennio fa il Matteo Zola, collaboratore dell’Ispi e dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, su “Slavia”, una rubrica del suo quotidiano online estjournal.net: “Dopo un’espansione che li portò, tra il quinto e l’ottavo secolo, in Asia minore e in Grecia, in Africa settentrionale e sul Baltico, gli slavi subirono la risposta dei franchi, dei tedeschi, dei danesi e dei bizantini che – dopo averne subito il «maremoto» – riguadagnano al loro controllo  ampie fette di territori slavizzati e ne assoggettano la popolazione ancora in larghissima parte pagana. In particolare fu notevole l’asservimento degli slavi settentrionali i quali, occupate le pianure di una Germania abbandonata a seguito delle migrazioni verso sud di longobardi, franchi, goti e vandali, videro il rapido riorganizzarsi dei gruppi rimasti in entità statali via via più organizzate. Bavari, sassoni e poi franchi, fino ai cavalieri teutonici, per circa due secoli gli slavi subirono la “riconquista” germanica. Tale “riconquista” fu così violenta che il poeta ceco Jan Kollar, nel XVIII° secolo, chiamò la Germania «cimitero degli slavi».
“La schiavitù degli slavi divenne proverbiale e diede origine, in pressoché tutte le lingue europee, al termine «schiavo». Il vocabolo latino «sclavus» (schiavo, appunto) fece la sua comparsa nel XIII° secolo sostituendo il termine classico «mancipium» (da cui «emancipare», uscire da stato di asservimento). …
“Fu così che il nome di un popolo divenne un termine estensivo per una categoria di persone, tanto che oggi lo ritroviamo nell’italiano, nel francese (esclave), nel catalano (scrau), nel tedesco (sklave), nell’olandese (slaaf) e nell’inglese (calco perfetto, slave).
“Durante l’alto Medioevo carovane di slavi percorrevano l’Europa da una piazza all’altra, Venezia, Ratisbona, Lione erano i principali mercati per questa particolare “merce”. A Verdun si trovava il più importante mercato di eunuchi del continente. La riduzione in schiavitù delle genti slave fu moralmente possibile, ed anzi caldeggiata, proprio in virtù del loro paganesimo”.
 
Simone Weil – Una mistica in attesa – in politica. La ripubblicazione, con notevole cure editoriali, delle lettere di “Attesa di Dio” ne danno conferma palmare. Che però non  viene rilevata dal cardinale Ravasi nella sua pur apologetica recensione sul “Sole 24 Ore Domenica”. Spiega didattico per una colonna chi era e cosa faceva Simone Weil – di cui pure il settimanale si occupa spesso – come se fosse un personaggio emerso dal nulla. Ricordando, nella stessa cornice, per suffragarne l’interesse, che Cristina Campo la teneva in gran conto, e Elsa Morante ne ha fatto un ritrattino in versi (“Sorelluccia inviolata\ ultima colomba dei diluvi\  stroncata bellezza del Cantico dei Cantici\ camuffata in quei tuoi buffi\ occhiali da scolara miope”), e anche Franco Fortini – “come posso attestare direttamene nei miei dialoghi privati avuti con lui”. Nell’altra colonna spiega che le lettere a padre Perrin sono “un esercizio spirituale e mentale di altura”. Benché, fra le tante citazioni, privilegi quella che ne fa una mistica in vigile attesa.


letterautore@antiit.eu

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