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giovedì 4 luglio 2024

Memoria divisa della Liberazione – o la storia che non si fa

Feste qui e là dell’Anpi, corone, “Bella ciao”, discorsi dei politici locali che si dicono di sinistra – questa settimana con richiamo al rinato Fronte Popolare francese, da noi Campo Largo. Si celebra la Liberazione come un rito, come una  Festa dell’“Unità” quando c’era “L’Unità”. Come una dichiarazione di vivenza della sinistra, che però altrove non si vede – a meno che non siano di sinistra il reddito di cittadinanza, e il Superbonus superregalo per chi ha casa.
Ottant’anni di celebrazioni e non una vera storia della Liberazione. Se non quelle celebrative della Resistenza, dei vari Bocca, Franzinelli, Marcello Flores, Oliva, perfino Monelli - sulla traccia di Roberto Battaglia (già in stampa il 15 aprile 1945, per “l’insolente felicità di unn«partigiano nato»", come dice la bandella della riedizione recente, Il Mulino).
Solo memorie grate, di imprese grandi e piccole. Mentre la Liberazione è complessa. Per le ragioni inviduate da Claudio Pavone, lo storico che fu da ragazzo nella Resistenza, presto dimenticate, della guerra civile – riprese anche queste in chiave divulgativa, anche qui da Franzinelli, con Pansa e altri giornalisti. Mentre è una memoria divisa, ancora oggi. Specie in Toscana e in Emilia, nelle aree del lungo fronte dell’inverno 1943-44, dopo il semi-fallimento dello sbarco di Salerno (solo alleviato dall’insurrezione di Napoli), e la ritardata lenta risalita degli Alleati.
All’Elba e in Versilia, per dirne una, arrivarono per primi i “francesi”, con piccoli mezzi da sbarco. Sull’isola il 17 giugno 1944, con la cosiddetta Operazione Brassard, sulla costa qualche settimana dopo, per affiancarsi, anticipandola, alla risalita degli angloamericani – con le residue truppe italiane. “Francesi” ma di fatto truppe senegalesi e marocchine. Cui il comandante, il generale poi maresciallo Jean de Lattre de Tassigny diede due giorni di libertà di saccheggio. Di cui la memoria ancora persiste: furti di oggetti preziosi, masserizie, alcol, e stupri, di chiunque capitasse a tiro – l’Elba ne ha contati “oltre 200”.
In Versilia e sulle Apuane non se ne parla ma le memorie sono cupe più che festive. Si celebra Sant’Anna di Stazzema dove il torto era ben diviso dal giusto – era dei tedeschi. E si trascurano stragi di eguale entità, Vinca, Forno – dove la memoria è “divisa” (chi ha pagato per la Resistenza?). E la Liberazione con libertà di saccheggio – la memoria è indelebile. Senza contare gli odi interfamiliari, tuttora persistenti, nell’aretino, anche in riguardo alle stragi naziste, di San Polo, di Cavriglia (Meleto Valdarno, Castiglione de Sabbioni).

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