Memoria divisa della Liberazione – o la storia che non si fa
Feste qui e là dell’Anpi, corone, “Bella
ciao”, discorsi dei politici locali che si dicono di sinistra – questa settimana
con richiamo al rinato Fronte Popolare francese, da noi Campo Largo. Si celebra
la Liberazione come un rito, come una
Festa dell’“Unità” quando c’era “L’Unità”. Come una dichiarazione di
vivenza della sinistra, che però altrove non si vede – a meno che non siano di
sinistra il reddito di cittadinanza, e il Superbonus superregalo per chi ha
casa.
Ottant’anni di celebrazioni e non una
vera storia della Liberazione. Se non quelle celebrative della Resistenza, dei
vari Bocca, Franzinelli, Marcello Flores, Oliva, perfino Monelli - sulla
traccia di Roberto Battaglia (già in stampa il 15 aprile 1945, per “l’insolente
felicità di unn«partigiano nato»", come dice la bandella della riedizione recente,
Il Mulino).
Solo memorie grate, di imprese grandi e
piccole. Mentre la Liberazione è complessa. Per le ragioni inviduate da Claudio
Pavone, lo storico che fu da ragazzo nella Resistenza, presto dimenticate, della
guerra civile – riprese anche queste in chiave divulgativa, anche qui da Franzinelli,
con Pansa e altri giornalisti. Mentre è una memoria divisa, ancora oggi. Specie
in Toscana e in Emilia, nelle aree del lungo fronte dell’inverno 1943-44, dopo
il semi-fallimento dello sbarco di Salerno (solo alleviato dall’insurrezione di
Napoli), e la ritardata lenta risalita degli Alleati.
All’Elba e in Versilia, per dirne una,
arrivarono per primi i “francesi”, con piccoli mezzi da sbarco. Sull’isola il 17
giugno 1944, con la cosiddetta Operazione Brassard, sulla costa qualche settimana
dopo, per affiancarsi, anticipandola, alla risalita degli angloamericani – con le
residue truppe italiane. “Francesi” ma di fatto truppe senegalesi e marocchine. Cui il comandante, il generale poi maresciallo Jean de Lattre de Tassigny diede
due giorni di libertà di saccheggio. Di cui la memoria ancora persiste: furti
di oggetti preziosi, masserizie, alcol, e stupri, di chiunque capitasse a tiro
– l’Elba ne ha contati “oltre 200”.
In Versilia e sulle Apuane non se ne
parla ma le memorie sono cupe più che festive. Si celebra Sant’Anna di Stazzema
dove il torto era ben diviso dal giusto – era dei tedeschi. E si trascurano stragi
di eguale entità, Vinca, Forno – dove la memoria è “divisa” (chi ha pagato per
la Resistenza?). E la Liberazione con libertà di saccheggio – la memoria è
indelebile. Senza contare gli odi interfamiliari, tuttora persistenti, nell’aretino,
anche in riguardo alle stragi naziste, di San Polo, di Cavriglia (Meleto Valdarno,
Castiglione de Sabbioni).
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