Non c’è Procuratore innocente – o gli ominicidi in Usa
Il vice-Procuratore concorre al posto di Procuratore
Capo, vince l’elezione popolare, e incrimina l’altro Vice, il suo vecchio
collega, fedele al Procuratore Capo uscente. Segue una causa lunga mezzo volume.
Questo romanzo del 1987 di Scott Thurow, dieci anni
dopo l’esordio come scrittore, deve molto alla sua precedente esperienza di
assistente del Procuratore Capo di
Chicago, ed è definito una sorte di capostipite del legal thriller. In realtà,
è la storia di una vendetta, femminile. Un aspetto della famiglia americana di
cui non si parla: gli ominicidi, più determinati anche se (molto) meno numerosi dei femminicidi. In forme
anche sottili, studiate, fredde, oltre che violente. Un aspetto della libertà
della donna americana, che l’ha avuta e l’ha esercitata da sempre, con decisione,
anche se di questo non c’è traccia nella storia americana – l’ha esercitata in
famiglia, su questioni familiari. Thurow è maestro di questo: della donna che
si prende il suo piacere con chi vuole, senza limiti, di pratiche e di scelte,
e della donna che si vendica, con astuzia, con freddezza. La gelosia è ingrediente femminile molto americano - come in Italia dovremmo sapere dal caso di Meredith Kercher, assassinata senza altro movente.
In tema di legal
thriller, è curioso che negli stessi anni l’Italia si studiava di
introdurre il “processo accusatorio” all’americana, con l’allargamento
spropositato dei poteri e delle pratiche delle Procure – con gli effetti che
conosciamo, trent’anni di dominio dell’opinione pubblica, a fini funesti.
Poteri e pratiche che nel romanzo, sempre avvincente, costituiscono la sua prima
lunga parte. In una America peraltro che sembra molto democristiana, e meridionale: il posto, la raccomandazione, le clientele, i tradimenti, i pettegolezzi, anonimi e non.
Scott Thurow, Presunto innocente, I Miti,
pp.604 € 7,90
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