Giuseppe Leuzzi
Pignatone come il Procuratore Capo Giammanco,
insabbiatore del dossier mafia-appalti, tra la Eccher di Raul Gardini e Salvo
Lima, referente politico della mafia? L’indagine di Caltanissetta arriva semmai
in ritardo, dopo il libro di Mori e De Donno, “La verità sul dossier
mafia-appalti”, e le rivelazioni di Di Pietro nell’intervista all’“Espresso”,
da semplice cittadino, testimone comunque da sentire, nel 2020,
https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/pietro-bum-nbsp-nbsp-39-39-se-raul-gardini-parlava-se-salvo-lima-403676.htm
Difficile immaginare una qualche colpevolezza di
Pignatone e del suo sostituto Natoli. Ma una sudditanza verso il Procuratore
Capo Giammanco, nel comune sentire democristiano, sì. E non si sa quale colpa
sia maggiore, l’errore di trenta e passa anni fa o questo immarcescibile
democristianesimo – un colpo di qua, un colpo di là, tutto si aggiusta.
Ogni tanto, nella prime lettere della feconda
corrispondenza, Calvino indirizza a Sciascia, Racalmuto, talvolta Recalmuto
(Reggio Calabria). Si vede che, malgrado l’amicizia, la classificazione costante
di Sciascia come ipersiciliano, e un viaggio a Palermo per una “Settimana
Einaudi”, l’hic sunt leones valeva pure per Calvino,
Dopo le prime sviste Sciascia adotta una carte
intestata (prestampata):
Leonardo Sciascia
Racalmuto (Agrigento).
Però, Calabria non è Sicilia. Oppure è uguale?
“Il primo scritto che io lessi di lui”, di Sciascia, spiega Calvino in una
intervista con “L’Ora” il10 giugno 1975, “le sue ‘Memorie di un maestro’, era
uno scritto che si staccava, negli anni ’50, da tutta una letteratura
meridionalista, documentaria, sociale, che era ingente. Si staccava per la
terribile disperazione che comunicava, una disperazione che, come sempre le
rappresentazioni molto pessimistiche, non aveva un effetto schiacciante,
scoraggiante, ma, al contrario, comunicava grande forza”. Ai letterati
siciliani sì, ha aperto i portoni, ma all’isola? Si direbbe un’eccellenza in un
lago di pessimismo. Un lago di nuova avventurata formazione – di vittimismo,
roba da prefiche al caro estinto, il leghismo non c’entra: un lago atrofizzato,
di sabbie mobili.
Il potere
delle maschere
Della Sicilia so tutto, scriveva Calvino a Sciascia il
10 novembre 1965, dopo aver ricevuto in lettura il dattiloscritto del
“Consiglio d’Egitto”: “Da un po’ di tempo mi accorgo che ogni cosa nuova che
leggo sulla Sicilia è una divertente variazione su un tema di cui ormai mi
sembra di sapere già tutto, assolutamente tutto. Questa Sicilia è la società
meno misteriosa del mondo: ormai in Sicilia tutto è limpido, cristallino: le più
tormentose passioni, i più oscuri interessi, psicologia, pettegolezzi, delitti,
lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è ormai classificato e
catalogato”
Che sembra un complimento ma non lo è: è la fissazione
di un cliché. È un complimento per
gli scrittori, che hanno saputo creare un mondo, ma non per la terra, non per
la sua gente. Calvino continua complimentoso, paragonando la Sicilia di
Sciascia a “una bella partita a scacchi”, al “piacere delle combinazioni di un
numero finito di pezzi a ognuno dei quali si presenta un numero finito di
possibilità”. Finito e definito, catalogato, fissato. “Un tema”, uno solo, sempre
lo stesso.
La Sicilia come macchietta, muta? Calvino voleva
ironizzare sul pirandellismo di cui molti siciliani si crogiolano? Ha lanciato
all’amico, cosi chiude la lettera, una “freccia del Parto”- una frecciata, una
provocazione.
“La Sicilia” è fissata. Come “la Toscana”, per dire,
all’altro estremo, della virtuosità: lindore, pulizia, radicamento, e cultura naturalmente,
rispetto, cura, valorizzazione, ben servita e ben curata, ottime strade, ottime scuole, ospedali efficienti.
In una parola: il Buongoverno. Cosa che non è, da molto tempo, si direbbe in
ogni aspetto, strade, scuole, medici, eccetera – compresa la cucina, che una
volta era saporita e schietta, e faceva aggio a Roma e Milano. Allo stesso modo
la Sicilia viene anch’essa mascherata, incrostata, “fissata”, solo dell’orrido.
Mattarella o della Sicilia in pace con se stessa
Il passo stabile, sicuro. In
situazioni politiche caotiche. Cottarelli, Conte, chi erano costoro? Alleanze
di opposti. Giovanotti e signorine di nessuna qualità tra cui scegliere i ministri. Venendo da una storia personale “estremamente siciliana”, di estremi
di ogni tipo, morali e politici, compreso l’assassinio del fratello maggiore. E
farsi personificazione di Equilibrio. Stabilità. Certezza, del diritto e della
politica. Riconosciuto e rispettato anche da “Milano” e ogni interesse costituito.
Dare stabilità alla XXIIIma
legislatura, sia pure a rischio, come ora appare, del fallimento della ditta, è
stato prodigioso. Tanto più per la misura dispiegata, dei tempi e dei modi. Senza
mai strafare. Senza interventi chiassosi, minacciosi, capricciosi, notabilari.
Con tatto e perfino con Garbo.
Mattarella è l’unico presidente
della Repubblica siciliano. Non per esclusione, cinque presidenti su otto sono stati
“sabaudi”, sardi e liguri cioè compresi. È così, è avvenuto così. Ma non è “siciliano”:
è al naturale, non si vede che sia in qualche modo artefatto, regolato da
consigliori, gestito da specialisti d’immagine, e non è “siciliano”. Quindi la
Sicilia non è come Calvino scriveva a Sciascia, “so tutto della Sicilia”.
Sudismi/sadismi
Il ministero dell’Istruzione
fa il conteggio della maturità, il “Corriere della sera” riferisce: “Emerge una
forbice Nord-Sud. Nel secondo caso sono molti di più, in percentuale, gli
studenti maturati con il massimo dei voti: in Lombardia,Trentino-Alto Adige,
Veneto i maturati con 100 e lode sono poco più dell’1 per cento, percentuali
più alte in Calabria (5,4%), Puglia (5,1%), Sicilia (4,1%)”.
Questa volta c’è solo il comunicato,
non c’è la contestazione che le commissioni dì esame sono al Sud degli “amici”,
o e le scuole raccomandate – la discrezionalità delle commissioni è minima, un
3 per cento. Ma la stizza sì, si vede dalla redazione fintamente neutrale del
comunicato, riscritto sempre in termini di opposizione.
Cronache
della differenza: Calabria
Matrice
della “rivoluzione italiana” la vuole lo storico napoletano Atanasio Mozzillo,
introducendo la sterminata ricerca “Cronache della Calabria in guerra”, contro i
francesi di Napoleone, al § “Realtà e mito calabrese”. Ispiratrice dei moti insurrezionali.
Sul
“Corriere della sera”, per la promozione “Un viaggio con le firme”, il capo
redattore Carmine Festa invita alla Calabria “terra dura”. Invece si direbbe
terra molle. Non solo per i terremoti e le frane. Per il vivere quotidiano, rassegnato. Attivo, anche intraprendente, fuori, a casa invece inerte.
C’è
un “iracondo calabrese” nel racconto di Pasternak “Il tratto di Apelle”, che
inscena Heinrich Heine in Italia, tra Firenze e Ferrara. Fa il cameriere
d’albergo, a Ferrara. Ma inverte i ruoli, rispetto al “calabrese” classico,
brigantesco: “Questo furfante”, dice di “un monello” incaricato di una speciale
missione dal poeta, “ha proferito
addirittura delle minacce”. E quando il ragazzino chiede a Heine cento soldi,
“senza convinzione e trasognato”, se ne ride: “Ridono tutti, ride spropositato
anche il cameriere, soprattutto il cameriere”. Cento soldi erano dieci lire,
quasi un capitale – dipende dai punti di vista (il poeta glieli dà).
Sui quattro allenatori
italiani di Nazionali straniere all’Europeo 2024 due erano calabresi, Tedesco
di Vibo Valentia e Calzona di Rossano. Curioso record. Calabria come emigrazione?
Nemo propheta in patria?
C’è molta Calabria nel memoir
di Antonio Franchini sulla madre, “Il fuoco che ti porti dentro”: i
fidanzatini di lei, uno bello, uno intelligente. Uno o due generi. La parte
jonica e quella tirrenica. Ci “sono ottanta chilometri, da Marina di Tortora a
Paola, invasi dai miei concittadini”, concede Franchini, napoletano, “per
garantirsi una vacanza a buon mercato”. Senza, i luoghi non sarebbero “brutti
per niente. Solo una striscia di costa di Calabria settentrionale è devastata”,
quella da Tortora a Paola.
L’appartamento a mare, nella
babele “napoletana” di Scalea. era un legame moderno della Calabria con Napoli,
c’era la possibilità di una connessione feconda, che in una generazione è svanita.
I “napoletani” in vacanza come ricorda Franchini hanno anzi segnato una rottura
definitiva.
Nella
caccia al voto per le Europee nella circoscrizione Sud Sgarbi ritorna a Sant’Andrea
Apostolo dello Jonio, e con l’ex sindaco Gerardo Frustaci ricorda, “nella
gloria della sua scelta calabrese, Anna Gastel, che ora non c’è più. Aveva
lasciato alle spalle la grande Milano per rifugiarsi qui, per avere i cieli e
il mare di questo paesaggi nel cuore”, un paesaggio in effetti straordinario,
“per ritrovarli in paradiso”. Anna Gastel è morta a gennaio, di settant’anni, a
Milano dove si curava. Nipote di Luchino Visconti, molto attiva nel mercato
dell’antiquariato (Christie’s), nell’ambientalismo (Fai), e nella musica
(MiTo), è stata celebrata a Milano con lunghe commemorazioni (obituaries).
Nessuna delle quali menziona Sant’Andrea Apostolo dello Jonio.
Ci
voleva lo stesso Sgarbi, nello steso articolo, la sua column sul
settimana femminile del “Corriere della sera”, “Io Donna”, poche righe, per
rivelare a Reggio e ai reggini il Palazzo della Cultura, l’Istituto Alfonso
Frangipane, “pieno di ceramiche e di mirabili tessuti prodotti nella tradizione
di quella scuola d’arte, e il Museo San Paolo, una eterogenea collezione di
dipinti antichi, sculture, oggetti d’arte, icone, argenti, pianete e piviali,
febbrilmente raccolti da un prete. «sacerdos et civis», Francesco Gangemi, per
salvarli dai mercatini che umiliavano la loro destinazione prevalentemente
religiosa”. Nessuno che ne sappia a Reggio, che si sappia.
Calvino
ha scritto il “Barone rampante”, di getto, a Praia a Mare, in vacanza, l’estate
del 1956, con Elsa De Giorgi, con la quale allora si accompagnava – dedicataria
originaria delle “Fiabe italiane”. Lo dice, e lo prova, De Giorgi in “Ho
visto partire il tuo treno”, il ricordo della sua storia con lo scrittore. Lei s’indentifica
nella Viola-Paloma del “Barone rampante”, 1957 – di cui la scrittura fu alacre
sulla spiaggia di una caletta a Praia a Mare, l’estate precedente: “La prima
copia di stampa del Barone rampante Calvino me la portò di
persona a Milano dove, al piccolo teatro con Strehler, recitavo Madame Roland
nei Giacobini. In stampa il libro era dedicato «A Viola» e a mano
«A Paloma, il barone»” - la prima copia “ci rese molto felici”.
L “caletta di Praia a mare” è nella “striscia di costa
della Calabria devastata” di Franchini, qualche anno più tardi.
Dice un carcerato, in cambio di una riduzione di pena,
che Chicco Forti, estradato dagli Stati Uniti come un atto di liberazione nazionale, con Giorgia Meloni ad aspettarlo in pompa a Fiumicino, benché in
catene, gli ha chiesto di fornirgli uno ‘ndranghetista per uccidere Selvaggia
Lucarelli e\o Travaglio. Perché uno di ‘ndrangheta, uno si chiederebbe. Perché
è la sola malavita da quando, trent’anni fa, o quaranta, i servizi segreti
salvarono l’annata d’ozio decretandola sic
et simpliciter la più grande organizzazione criminale del mondo. Come nascono
i miti, a volte è semplice.
L’Anas
rifà (ad agosto….) l’asfalto nelle strade con cui attraversa i piccoli Comuni,
senza scarificare il manto precedente. Si vedono così strade al livello ormai del
marciapiedi. Inevitabile, alle prime piogge, l’allagamento dei pianoterra. Poi
si dice l’abusivismo e l’incuria.
leuzzi@antiit.eu
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