mercoledì 7 agosto 2024

A Sud del Sud - il Sud viso da sotto (567)

Giuseppe Leuzzi
 
Pignatone come il Procuratore Capo Giammanco, insabbiatore del dossier mafia-appalti, tra la Eccher di Raul Gardini e Salvo Lima, referente politico della mafia? L’indagine di Caltanissetta arriva semmai in ritardo, dopo il libro di Mori e De Donno, “La verità sul dossier mafia-appalti”, e le rivelazioni di Di Pietro nell’intervista all’“Espresso”, da semplice cittadino, testimone comunque da sentire, nel 2020,
https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/pietro-bum-nbsp-nbsp-39-39-se-raul-gardini-parlava-se-salvo-lima-403676.htm
Difficile immaginare una qualche colpevolezza di Pignatone e del suo sostituto Natoli. Ma una sudditanza verso il Procuratore Capo Giammanco, nel comune sentire democristiano, sì. E non si sa quale colpa sia maggiore, l’errore di trenta e passa anni fa o questo immarcescibile democristianesimo – un colpo di qua, un colpo di là, tutto si aggiusta.
 
Ogni tanto, nella prime lettere della feconda corrispondenza, Calvino indirizza a Sciascia, Racalmuto, talvolta Recalmuto (Reggio Calabria). Si vede che, malgrado l’amicizia, la classificazione costante di Sciascia come ipersiciliano, e un viaggio a Palermo per una “Settimana Einaudi”, l’hic sunt leones valeva pure per Calvino,
Dopo le prime sviste Sciascia adotta una carte intestata (prestampata):
Leonardo Sciascia
Racalmuto (Agrigento).
Però, Calabria non è Sicilia. Oppure è uguale?
 
“Il primo scritto che io lessi di  lui”, di Sciascia, spiega Calvino in una intervista con “L’Ora” il10 giugno 1975, “le sue ‘Memorie di un maestro’, era uno scritto che si staccava, negli anni ’50, da tutta una letteratura meridionalista, documentaria, sociale, che era ingente. Si staccava per la terribile disperazione che comunicava, una disperazione che, come sempre le rappresentazioni molto pessimistiche, non aveva un effetto schiacciante, scoraggiante, ma, al contrario, comunicava grande forza”. Ai letterati siciliani sì, ha aperto i portoni, ma all’isola? Si direbbe un’eccellenza in un lago di pessimismo. Un lago di nuova avventurata formazione – di vittimismo, roba da prefiche al caro estinto, il leghismo non c’entra: un lago atrofizzato, di sabbie mobili.
 
Il potere delle maschere
Della Sicilia so tutto, scriveva Calvino a Sciascia il 10 novembre 1965, dopo aver ricevuto in lettura il dattiloscritto del “Consiglio d’Egitto”: “Da un po’ di tempo mi accorgo che ogni cosa nuova che leggo sulla Sicilia è una divertente variazione su un tema di cui ormai mi sembra di sapere già tutto, assolutamente tutto. Questa Sicilia è la società meno misteriosa del mondo: ormai in Sicilia tutto è limpido, cristallino: le più tormentose passioni, i più oscuri interessi, psicologia, pettegolezzi, delitti, lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è ormai classificato e catalogato”
Che sembra un complimento ma non lo è: è la fissazione di un cliché. È un complimento per gli scrittori, che hanno saputo creare un mondo, ma non per la terra, non per la sua gente. Calvino continua complimentoso, paragonando la Sicilia di Sciascia a “una bella partita a scacchi”, al “piacere delle combinazioni di un numero finito di pezzi a ognuno dei quali si presenta un numero finito di possibilità”. Finito e definito, catalogato, fissato. “Un tema”, uno solo, sempre lo stesso.
La Sicilia come macchietta, muta? Calvino voleva ironizzare sul pirandellismo di cui molti siciliani si crogiolano? Ha lanciato all’amico, cosi chiude la lettera, una “freccia del Parto”- una frecciata, una provocazione.
“La Sicilia” è fissata. Come “la Toscana”, per dire, all’altro estremo, della virtuosità: lindore, pulizia,  radicamento, e cultura naturalmente, rispetto, cura, valorizzazione, ben servita e ben curata, ottime  strade, ottime scuole, ospedali efficienti. In una parola: il Buongoverno. Cosa che non è, da molto tempo, si direbbe in ogni aspetto, strade, scuole, medici, eccetera – compresa la cucina, che una volta era saporita e schietta, e faceva aggio a Roma e Milano. Allo stesso modo la Sicilia viene anch’essa mascherata, incrostata, “fissata”, solo dell’orrido.
 
Mattarella o della Sicilia in pace con se stessa
Il passo stabile, sicuro. In situazioni politiche caotiche. Cottarelli, Conte, chi erano costoro? Alleanze di opposti. Giovanotti e signorine di nessuna qualità tra cui scegliere i ministri. Venendo da una storia personale “estremamente siciliana”, di estremi di ogni tipo, morali e politici, compreso l’assassinio del fratello maggiore. E farsi personificazione di Equilibrio. Stabilità. Certezza, del diritto e della politica. Riconosciuto e rispettato anche da “Milano” e ogni interesse costituito.
Dare stabilità alla XXIIIma legislatura, sia pure a rischio, come ora appare, del fallimento della ditta, è stato prodigioso. Tanto più per la misura dispiegata, dei tempi e dei modi. Senza mai strafare. Senza interventi chiassosi, minacciosi, capricciosi, notabilari. Con tatto e perfino con Garbo.
Mattarella è l’unico presidente della Repubblica siciliano. Non per esclusione, cinque presidenti su otto sono stati “sabaudi”, sardi e liguri cioè compresi. È così, è avvenuto così. Ma non è “siciliano”: è al naturale, non si vede che sia in qualche modo artefatto, regolato da consigliori, gestito da specialisti d’immagine, e non è “siciliano”. Quindi la Sicilia non è come Calvino scriveva a Sciascia, “so tutto della Sicilia”.  
 
Sudismi/sadismi
Il ministero dell’Istruzione fa il conteggio della maturità, il “Corriere della sera” riferisce: “Emerge una forbice Nord-Sud. Nel secondo caso sono molti di più, in percentuale, gli studenti maturati con il massimo dei voti: in Lombardia,Trentino-Alto Adige, Veneto i maturati con 100 e lode sono poco più dell’1 per cento, percentuali più alte in Calabria (5,4%), Puglia (5,1%), Sicilia (4,1%)”.
Questa volta c’è solo il comunicato, non c’è la contestazione che le commissioni dì esame sono al Sud degli “amici”, o e le scuole raccomandate – la discrezionalità delle commissioni è minima, un 3 per cento. Ma la stizza sì, si vede dalla redazione fintamente neutrale del comunicato, riscritto sempre in termini di opposizione.
 
Cronache della differenza: Calabria
Matrice della “rivoluzione italiana” la vuole lo storico napoletano Atanasio Mozzillo, introducendo la sterminata ricerca “Cronache della Calabria in guerra”, contro i francesi di Napoleone, al § “Realtà e mito calabrese”. Ispiratrice dei moti insurrezionali.
 
Sul “Corriere della sera”, per la promozione “Un viaggio con le firme”, il capo redattore Carmine Festa invita alla Calabria “terra dura”. Invece si direbbe terra molle. Non solo per i terremoti e le frane. Per il vivere quotidiano, rassegnato. Attivo, anche intraprendente, fuori, a casa invece inerte.
 
C’è un “iracondo calabrese” nel racconto di Pasternak “Il tratto di Apelle”, che inscena Heinrich Heine in Italia, tra Firenze e Ferrara. Fa il cameriere d’albergo, a Ferrara. Ma inverte i ruoli, rispetto al “calabrese” classico, brigantesco: “Questo furfante”, dice di “un monello” incaricato di una speciale missione  dal poeta, “ha proferito addirittura delle minacce”. E quando il ragazzino chiede a Heine cento soldi, “senza convinzione e trasognato”, se ne ride: “Ridono tutti, ride spropositato anche il cameriere, soprattutto il cameriere”. Cento soldi erano dieci lire, quasi un capitale – dipende dai punti di vista (il poeta glieli dà).
 
Sui quattro allenatori italiani di Nazionali straniere all’Europeo 2024 due erano calabresi, Tedesco di Vibo Valentia e Calzona di Rossano. Curioso record. Calabria come emigrazione? Nemo propheta in patria?
 
C’è molta Calabria nel memoir di Antonio Franchini sulla madre, “Il fuoco che ti porti dentro”: i fidanzatini di lei, uno bello, uno intelligente. Uno o due generi. La parte jonica e quella tirrenica. Ci “sono ottanta chilometri, da Marina di Tortora a Paola, invasi dai miei concittadini”, concede Franchini, napoletano, “per garantirsi una vacanza a buon mercato”. Senza, i luoghi non sarebbero “brutti per niente. Solo una striscia di costa di Calabria settentrionale è devastata”, quella da Tortora a Paola.
 
L’appartamento a mare, nella babele “napoletana” di Scalea. era un legame moderno della Calabria con Napoli, c’era la possibilità di una connessione feconda, che in una generazione è svanita. I “napoletani” in vacanza come ricorda Franchini hanno anzi segnato una rottura definitiva.
 
Nella caccia al voto per le Europee nella circoscrizione Sud Sgarbi ritorna a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, e con l’ex sindaco Gerardo Frustaci ricorda, “nella gloria della sua scelta calabrese, Anna Gastel, che ora non c’è più. Aveva lasciato alle spalle la grande Milano per rifugiarsi qui, per avere i cieli e il mare di questo paesaggi nel cuore”, un paesaggio in effetti straordinario, “per ritrovarli in paradiso”. Anna Gastel è morta a gennaio, di settant’anni, a Milano dove si curava. Nipote di Luchino Visconti, molto attiva nel mercato dell’antiquariato (Christie’s), nell’ambientalismo (Fai), e nella musica (MiTo), è stata celebrata a Milano con lunghe commemorazioni (obituaries). Nessuna delle quali menziona Sant’Andrea Apostolo dello Jonio.
 
Ci voleva lo stesso Sgarbi, nello steso articolo, la sua column sul settimana femminile del “Corriere della sera”, “Io Donna”, poche righe, per rivelare a Reggio e ai reggini il Palazzo della Cultura, l’Istituto Alfonso Frangipane, “pieno di ceramiche e di mirabili tessuti prodotti nella tradizione di quella scuola d’arte, e il Museo San Paolo, una eterogenea collezione di dipinti antichi, sculture, oggetti d’arte, icone, argenti, pianete e piviali, febbrilmente raccolti da un prete. «sacerdos et civis», Francesco Gangemi, per salvarli dai mercatini che umiliavano la loro destinazione prevalentemente religiosa”. Nessuno che ne sappia a Reggio, che si sappia.
 
Calvino ha scritto il “Barone rampante”, di getto, a Praia a Mare, in vacanza, l’estate del 1956, con Elsa De Giorgi, con la quale allora si accompagnava – dedicataria originaria delle “Fiabe italiane”. Lo dice, e lo prova, De Giorgi in “Ho visto partire il tuo treno”, il ricordo della sua storia con lo scrittore. Lei s’indentifica nella Viola-Paloma del “Barone rampante”, 1957 – di cui la scrittura fu alacre sulla spiaggia di una caletta a Praia a Mare, l’estate precedente: “La prima copia di stampa del Barone rampante Calvino me la portò di persona a Milano dove, al piccolo teatro con Strehler, recitavo Madame Roland nei Giacobini. In stampa il libro era dedicato «A Viola» e a mano «A Paloma, il barone»” - la prima copia “ci rese molto felici”.
L “caletta di Praia a mare” è nella “striscia di costa della Calabria devastata” di Franchini, qualche anno più tardi.
 
Dice un carcerato, in cambio di una riduzione di pena, che Chicco Forti, estradato dagli Stati Uniti come un atto di liberazione nazionale, con Giorgia Meloni ad aspettarlo in pompa a Fiumicino, benché in catene, gli ha chiesto di fornirgli uno ‘ndranghetista per uccidere Selvaggia Lucarelli e\o Travaglio. Perché uno di ‘ndrangheta, uno si chiederebbe. Perché è la sola malavita da quando, trent’anni fa, o quaranta, i servizi segreti salvarono l’annata d’ozio decretandola sic et simpliciter la più grande organizzazione criminale del mondo. Come nascono i miti, a volte è semplice. 

L’Anas rifà (ad agosto….) l’asfalto nelle strade con cui attraversa i piccoli Comuni, senza scarificare il manto precedente. Si vedono così strade al livello ormai del marciapiedi. Inevitabile, alle prime piogge, l’allagamento dei pianoterra. Poi si dice l’abusivismo e l’incuria.

leuzzi@antiit.eu

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