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Caccia al russo
Dodici capi d’accusa contro Durov, il fondatore e
padrone di Telegram – non si sa quali, ma a cominciare dalla pedopornografia,
c’è altro di più squalificante? Il metodo usava ai tempi sovietici. Ma è la
Francia republicana e anzi rivoluzionaria che lo propone. Per conto di non si
sa chi, si dice. Ma non è un’aggravante. Brutta fine della Francia, dopo lo
spettacolo pietoso dell’Olimpiade, dall’Ultima Cena stile Muccassassina di
quarant’anni fa alla Senna inquinata e al villaggio olimpico col caffè scadente
e senza condizionatori.
Ma non è della Francia il problema; si direbbe la
caccia al russo. Come una volta agli “antipartito”: non c’è difesa, basta la parola.
Instagram di Durov fa gola in America e questo basta, come TikTok - l’Occidente
è rispettoso, anche della libertà d’impresa oltre che di opinione, specie in
America, ma fino a che interesse non intervenga. E così è, o almeno sembra –
fino a prova contraria, a qualche accusa precisa cioè a Durov. Perché si è
tentato il giorno dopo – in ogni redazione ci sono sempre giornalisti collaboratori
dei servizi segreti - di allargare l’offensiva ai
fondatori-padroni di Klarna e Revolut, altre galline dalle uova d’oro. Poi il Semiatowski
di Klarna si è rivelato essere di origine polacca. Ma Storonsky è malleabile, è
pure nato e cresciuto in Russia, quindi bisognerà presto “salvare” Revolut.
Tanto più che il socio Yatsenko è russofono e ucraino insieme.
Certo, questi slavi costruttori d’imperi, anche loro, in
giovane età, fanno impressione. Mentre la piccola Europa se ne sta aggrappata ai micro Macron –
che incarcerano chi la Cia chiede e non sanno ancora perché. L’ultima è che
Durov si è fatto arrestare a Parigi per sfuggire alla cattura di Putin – di cui
è, o è stato, oppositore. Una tipica “notizia” da servizi segreti (disinformacija si diceva una volta, in russo), che i media riprendono senza più.
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