Giallo di caratteri
Si
procede con lentezza. Molte pagine su cosa pensano, o potrebbero pensare, senza
attinenza con la vicenda, i personaggi via via in scena, tutti più o meno
incolpevoli – oppure no? Si fa molto caffè, la sera decaffeinato, ma per lo più
fresco, molendo i chicchi. Si arriva all’assassinio da perseguire, non più atteso, improvviso, a p. 150 circa.
Gli inquirenti, cinquanta pagine dopo l’assassinio, ancora non si sono ricordati
di sentire due persone “informate sui fatti”, Ryan Archer, “il ragazzo”
giardiniere improvvisato del museo, convivente di un colonnello gay che
brutalizza, e la figlia del morto. Uno dei personaggi, un vecchio spione curatore del museo, viene visto per il
quartiere di notte in compagnia di giovani maschi ma la cosa non è di nessun
peso.
La storia non finisce con il primo morto, e quando
partono gli interrogatori il catalogo delle figurine si allarga. Personaggi incidentali
e luoghi sono tutti ampiamente detti e spiegati, il meccanico della Jaguar E,
la macchina al centro della vicenda,
l’ospedale dove la vittima, psichiatra, lavorava, le infermiere. La psicologia
e le dinamiche di gruppo della squadra che lavora col comandante Adam
Dalgliesh, di Scotland Yard, l’inquirente stella della baronessa James,
prendono alcune decine di pagine. Dalgliesh è anche poeta - un poeta del “dolore della vita”. Ryan ricorre
molto come ragazzo pasoliniano - non di vita, di strada, violento e amabile,
i “vecchi” lo ospitano volentieri.
Insomma,
lento e divagante, e tuttavia si legge, senza saltare.
Con verità anche semplici: “Essere infermiere o
medico in un pronto soccorso è un lavoro pericoloso”, specie il sabato sera -
medici e infermieri si aggredivano a Londra giù vent’anni fa. C’è anche la critica alla “società civile” di
scalfariano conio in Italia, dei “buoni-e-belli” – praticamente del
politicamente corretto del Partito Democratico (democristiani rinsaviti?): “Il
ceto medio facoltoso, istruito, progressista che alla fin fine”, appare a una
ispettrice di Scotland Yard che si è fatta da sé, “controllava le loro vite”.
La
vicenda si dipana per qualche verso come in uno dei delitti documentati nella
“Stanza dei delitti” del museo Dupayne a Hampstead, un museo creato da un
signor Dupayne per documentare gli anni tra le due guerre, di cui è appassionato
– anni in cui ricorrono anche dei delitti per qualche verso celebri. Il museo è
ora in crisi perché i figli del fondatore sono divisi se continuare o no a
tenerlo aperto. Su questa divisione parte la vicenda.
P.D.James
procede con sussiego. È stata per un trentennio dirigente del Civil Service,
anche alla Polizia, nonché alla Bbc e al British Council, poi baronetto e membro
dei Lord, e procede autorevole. Su
Hampstead Heath, che rifà, pur scusandosene in avvertenza, e sui suoi
personaggi. Piccoli, soprattutto le “donnette”, delle pulizia, portinaie,
centraliniste, e grandi, psichiatra, proprietaria–direttrice di scuola privata,
spione (ex – ma non si è mai ex nello spionaggio, dicono). Un giallo di
caratteri, in notevole numero.
P.D.James, La stanza dei delitti, Il Giallo Mondadori, pp. 463 € 3,60
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