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mercoledì 21 agosto 2024

Il carcere, ossessione dell’America

“Puritanesimo e frontiera, le due matrici dell’immaginario ameircano”, “i due archetipi originari”,  portano al carcere. Nel western e poi, finita la saga della frontiera, nella classificazione e nel controllo della metropoli, con la saga dei supereroi (ma qui l’archetipo non sarebbe Fritz Lang, “Metropolis”?). “Poche culture sono ossessionate dal tema del carcere come quella americana” è l’esordio del saggio, e questo è più che vero: in nessun’altra realtà c’è l’ossessione del carcere. I prison studies sono “molto diffusi nell’americanistica”, in America e fuori, e in nessun’altra filologia.
Il carcere emerge nella narrativa con Defoe, “Moll Flanders”. Ma diventa una costante in America: “Poche culture sono ossessionate dal tema del carcere come quella statunitense: dalle storie western (si pensi alla costante presenza e evocazione del carcere di Yuma) a quelle di evasione (Escape from Alcatraz – Fuga da Alcatraz  o la serie di successo Prison Break), dai trial movies alla fantascienza  (in Escape from New York – 1997, l’intera isola di Manhattan viene riconvertita in un mondo penitenziario) fino a diventare un genere narrativo specifico: il prison novel o movie”.
C’è una ragione se il carcere è “uno dei contesti narrativi più potenti e duraturi dell’immaginario americano”. Ce ne sono due, i due grandi archetipi che fondano l’immaginario: quello puritano (e dunque religioso) che risulta dominante fino al XVIII secolo circa, e quello della frontiera, che si sviluppa molto rapidamente nel XIX secolo”.  

Emiliano Ilardi-Fabio Tarzia, La funzione simbolica del carcere nell’immaginario letterario e cinematografico americano, “Publifarum”, libero online

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