Il mondo si restringe 2 – meno dollaro
Non soltanto nel commercio, un riallineamento è in
corso perfino sul terreno monetario, dove pure la supremazia del dollaro è
indiscussa. Cosa succederà non si può sapere, ma è chiaro che dopo il 4 novembre
qualcosa succederà, vinca Harris la corsa alla presidenza americana oppure
Trump. L’annuncio anticipato, irrituale, della Federal Reserve di un “prossimo”
e “significativo” allentamento della
politica monetaria ne è un segnale.
Si sa del dollaro che è la moneta mondiale, un sorta
di monopolio. E una sorta di “arma nucleare finanziaria” - e la vera arma di Washington, che sul piano militare tende invece a beccare. Non regolata da
trattati o accordi di non proliferazione giacché è solo degli Stati Uniti. È
anche noto che è stata usata “regolarmente”, quando cioè gli Stati Uniti ne
hanno avuto bisogno. Nel 1971, nel pieno della guerra del Vietnam insostenibile,
con la sospensione della convertibilità. Due anni dopo col rilancio in senso
inverso, con la crisi petrolifera. Nel 1985 con l’“accordo del Plaza”, in senso inverso al 1973 (gli
Stati Uniti si accordano con Giappone, Germania di Bonn, Uk e Francia per
contrastare l’apprezzamento del dollaro, che rende le esportazioni americane
troppo care). Ma le critiche crescono, che la più grade potenza sia anche “il
più grande debitore del mondo”.
L’“uscita dal dollaro” è tema periodico. A lungo ha
tenuto banco l’ipotesi del diritti speciali di prelievo, la media delle valute
nazionali che è l’unità di conto del Fondo Monetario. Dell’uso crescente del
yuan, la moneta cinese si parla da circa venti anni, da quando si è costituito
il fronte politico dei Brics, 2001 (Brasile, Russia, India, Cina, poi, 2011,
Sudafrica – oggi un fronte allargato a numerosi paesi, ma meno incisivo). Ora si
progetta una moneta digitale “multi-banche centrali”, all’interno della Banca
dei regolamenti di Basilea. Un esercizio futile? Ma ora le critiche recenti vengono dall’interno
dell’America, per sottolinearne la vulnerabilità. Il disavanzo è sempre sostenuto, il debito cresce, ma i Treasury Us sono sempre in forte domanda.
I titoli del Tesoro americano sono sempre stati i più
ambiti e hanno attirato le maggiori risorse, da tutto il mondo. Gli
investimenti esteri sono il più robusto supporto della potenza del dollaro. Ma
questo rapporto è ora sentito come una dipendenza. Dalle autorità americane. E
da investitori esteri importanti, con i quali i rapporti possono non sempre essere
amichevoli. Oggi dalle petromonarchie e, di più, dalla Cina.
Negli ultimi quattro anni la Cina ha ridotto la quota
delle sue riserve monetarie in titoli del Tesoro e delle agenzie americane dal
44 al 30 per cento. Uno sganciamento non decisivo ma sensibile. Più in
generale, calcola il Fondo Monetario Internazionale, la quota in dollari nelle
riserve globali è scesa nel Millennio, a fine 2023, dal 71 al 55 per cento.
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