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martedì 6 agosto 2024

Il Sud di Dante è in Italia

Non Dante a pranzo, è “Il Regno di Sicilia nella Commedia”. Compito arduo, poiché Dante non c’è mai stato, né a Napoli né altrove,  a differenza di Petrarca, per dire, di Boccaccio, che entrambi furono perlomeno a Napoli. Che lo storico si è assunto nel quadro delle celebrazioni dantesche avviate prima  del covid per il 2021, per il settimo centenario della morte. Nel quadro di una divisione dei compiti con i colleghi dell’università della Basilicata in tema di Dante. E che porta a compimento con grazia, seppure con carniere quasi vuoto. Se non per il passaggio travolgente di Dante dall’opposizione al ghibellinismo, per esempio nella persona di Roberto d’Angiò, allora duca di Calabria, a Firenze nel 1305, al ghibellinismo più devoto, per Federico II e per suo figlio Manfredi. E per la constatazione che il percorso del volgare, nel trattato omonimo, fa partire dalla Sicilia.
Roberto I d’Angiò re di Napoli offre anche l’unico spunto narrativo. Subirà un memorabile declassamento nella “Commedia “ a “re da sermone”, un chiacchierone. Ma era quello che laureerà poeta Petrarca a Roma nel 1341, dopo un accurato “esame” di tre giorni a Napoli, di fronte a una commissione da lui presieduta.
C’è poco Mezzogiorno anche nelle opere minori di Dante, rilette con acribia. Il grande lavoro di Panarelli, storico di professione, riguarda le dinastie meridionali nella storia d’Itala come Dante la vedeva. Tre fasi, che Panarelli può ricostruire in tre capitoli, a decisa caratura: “Inferno svevo”, seppure tra apprezzamenti , meraviglie e compassioni, “Purgatorio angioino”, e “Il paradiso degli Altavilla”. Un’anamnesi politica di Dante e dei suoi anni, in cui c’entra il Sud ma come parte del gioco italiano.
Francesco Panarelli, Dante a Mezzogiorno, Carocci, pp. 111 € 14

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