Il Sud di Dante è in Italia
Non Dante a pranzo, è “Il Regno di Sicilia nella Commedia”. Compito arduo, poiché Dante
non c’è mai stato, né a Napoli né altrove, a differenza di Petrarca, per dire, di
Boccaccio, che entrambi furono perlomeno a Napoli. Che lo storico si è assunto
nel quadro delle celebrazioni dantesche avviate prima del covid per il 2021, per il settimo
centenario della morte. Nel quadro di una divisione dei compiti con i colleghi
dell’università della Basilicata in tema di Dante. E che porta a compimento con
grazia, seppure con carniere quasi vuoto. Se non per il passaggio travolgente
di Dante dall’opposizione al ghibellinismo, per esempio nella persona di
Roberto d’Angiò, allora duca di Calabria, a Firenze nel 1305, al ghibellinismo
più devoto, per Federico II e per suo figlio Manfredi. E per la constatazione che il percorso del volgare, nel trattato omonimo, fa partire dalla Sicilia.
Roberto I d’Angiò re di Napoli offre anche l’unico
spunto narrativo. Subirà un memorabile declassamento nella “Commedia “ a “re da
sermone”, un chiacchierone. Ma era quello che laureerà poeta Petrarca a Roma
nel 1341, dopo un accurato “esame” di tre giorni a Napoli, di fronte a una commissione
da lui presieduta.
C’è poco Mezzogiorno anche nelle opere minori di Dante,
rilette con acribia. Il grande lavoro di Panarelli, storico di professione, riguarda
le dinastie meridionali nella storia d’Itala come Dante la vedeva. Tre fasi,
che Panarelli può ricostruire in tre capitoli, a decisa caratura: “Inferno
svevo”, seppure tra apprezzamenti , meraviglie e compassioni, “Purgatorio
angioino”, e “Il paradiso degli Altavilla”. Un’anamnesi politica di Dante e
dei suoi anni, in cui c’entra il Sud ma come parte del gioco italiano.
Francesco Panarelli, Dante a Mezzogiorno,
Carocci, pp. 111 € 14
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