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La Russia cerca posto nell'ordine multipolare - ma torna statalista
Un’idea
controcorrente dell’imperialismo russo: la strategia di Putin non è restaurare
l’impero, né costruirne uno nuovo, l’eurasiatico, ma stabilizzare il posto della
Russia nel mondo multipolare, e mantenere la Russia nel solco di Pietro il
Grande, in Europa. In raccordo con le potenze asiatiche e con gli Stati Uniti indifferentemente. Un’analisi che questi due anni e mezzo di guerra in Ucraina
potrebbero suffragare: Mosca ha evitato ed evita un confronto diretto con gli Stati
Uniti - e con la stessa Ue, anche se imbelle.
“Ideologie,
Economie e Politica dalla fine dell’Unione Sovietica” è il sottotitolo:
un’enciclopedia ragionata della Russia qual è, piuttosto che quella che si dice
(che i servizi d’informazione dicono),
di una sociologa politica della Libera Università di Berlino, già alla
terza edizione. Oggi è il fallimento della linea occidentalista a dare il via al “contromovimento
conservatore illiberale”. Come già nel secolo scorso, dopo il crollo dell’Urss.
Alle elezioni dl 1996, cruciali per la definizione della nuova Russia, un forte
movimento “nazional-comunista”, più nazionale che comunista, quello di Ghennadi
Zyuganov, spinse Eltsin a chiedere l’aiuto dell’America. Clinton concesse
un’apertura di credito per 10 miliardi di dollari, e Eltsin sottoscrisse, nel
maggio dell’anno dopo, l’accettazione dell’allargamento della Nato in Europa
orientale. Era anche la Russia della prima costituzione post-sovietica, del
dicembre 1993, che escludeva “un’ideologia di Stato”, e riconosceva la
prevalenza del diritto internazionale sull’ordinamento giuridico nazionale. Ma
già il governo Primakov, nel 1998-1999, doveva virare verso uno “Stato forte e
interventista”, per evitare i ricorrenti rischi di fallimento (default). Putin spiega il nuovo corso ,
all’avvio del primo mandato presidenziale nel 2001, premettendo al suo
documento programmatico: “I principi universali dell’economia di mercato e
della democrazia devono essere collegati organicamente alle condizioni
specifiche della Russia". Un linguaggio misto, si può osservare, di nuove
speranze e vecchie realtà. Ma in politica estera c’è, senza alcun
tentennamento, nello stesso documento lo schieramento della Russia in Europa,
in un progetto di “Grande Europa”. Ereditando da Primakov, già ministro degli
Esteri, direttore dei servizi segreti esteri, direttore dell’Istituto moscovita
di Economia e Relazioni Internazionali, la dottrina del multipolarismo: Mosca
non può pensare in termini di superpotenza mondiale ma, nel “mondo multipolare”,
mantenere i legami con l’Europa e gli Stati Uniti, e insieme aprire a Oriente, a
Cina e India, i paesi di maggiore futuro.
Questa scelta di fondo resta valida, ma nuove tendenze sono emerse con l’allargamento
della Nato all’Ucraina e alla Georgia, in funzione cioè dichiaratamente
antirussa. Nell’ultimo decennio il quadro del multipolarismo nelle due ultime
presidenze Putin è cambiato: riemergono le tendenze euroasiatiche. Al cui centro
è scongiurare il bipolarismo Usa-Cina, che si vede come una sorta di confinamento
della Russia. Ma, soprattutto, sono cambiati due punti focali rispetto alla
Costituzione del 1993: la Costituzione del 2020, afferma apertis verbis “una nuova ideologia di Stato russa”. Una ideologia “illiberale-conservatrice”,
centrata sul concetto di “Stato-civiltà”. Con la statuizione della superiorità
della giurisprudenza russa su quella internazionale – da cui i tanti processi
politici, anche a carico di cittadini stranieri. Il nuovo Stato non è
totalitario, ma è decisore e decisivo.
Katharina
Bluhm, Russland und der Westen,
Matthes&Seitz, pp. 490, ril. € 33
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