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giovedì 22 agosto 2024

La storia felice di un ragazzo africano carbonaio a Serra San Bruno

La vita degli (ultimi?) carbonai a Serra San Bruno in Calabria, con un immigrato maliano al lavoro, che ha dovuto lasciare ragazzo il suo Paese – bizzarramente  ristretto al solo nome, Fofana (non ha un cognome, non è individuato, è il “tipo” dell’immigrato). Carbonai della “fossa”, o “carazzi” nella parlata di Serra San Bruno, di carbone da legna. Ripresi nella stagione cattiva, a dicembre – quando in realtà non “si fa il carbone”, lavoro della primavera. Ma giusto perché i due giovani autori, cineasti inglesi, si sono trovati a Serra San Bruno nel tardo autunno?
Balzagette lo presenta come un documentario politico, contro il “governo più a destra” mai votato in Italia. Che fa della politica anti-immigrati la sua bandiera. Di fatto è un documentario su un mestiere “storico”, quindi bizzarro, strano. In un mondo ripreso come pre-moderno – Serra San Bruno, forse la prima delle certose cistercensi in Italia, è un sito turistico di massa. Un documentario in bianco e nero. Con poca luce. Breve, di 17-18 minuti – parlato in italiano. Ma ambizioso: prova il film di caratteri. I personaggi che intervengono, in dialetto o in italiano molto marcato localmente, sono caratterizzati. Nazareno Scrivo carbonaio all’opera, con il figlio. Insieme con Fofana ricordano il carbonaio Bruno Vallelunga, che a un incontro casuale con Fofana gli ha chiesto di lavorare con lui. Nessun dramma: Fofana ha anche le carte necessarie, i carbonai di Serra San Bruno vogliono essere in regola.
Il titolo echeggia a un orecchio inglese i “cugini” carbonari di centocinquant’anni fa, dei giovani mazziniani, anche non giovani – associati nell’opinione europea (fino ai racconti di Stevenson) al primo terrorismo politico. Molta malinconia, anche se la storia è di amicizia. E di fatica, ma senza lagne, c’è l’orgoglio del mestiere. Fofana se ne andrà a Roma, dice – e non ci sono ostativi o correttivi: solo che è giovane, e vuole vivere la vita metropolitana. Forse, da Roma, riprenderà contatto con la famiglia, che ha deciso di lasciare, a Bamako.
La rivista, che lo ha prodotto, è felice che il documentario sia stato selezionato all’AFI Fest a Los Angeles fra un mese, dell’American Film Institute, Correttamente presentandolo come “una storia di amicizia e lavoro duro, in mezzo alla retorica anti-immigrati in Italia”.
Balzagette è al suo secondo documentario sull’immigrazione in Europa. Il primo è stato, cinque anni fa, con notevole successo, un cortometraggio ancora più breve di questo,”Welcome to Harmondsworth”, un titolo che risuona come “mondo dell’armonia”, ed è il nome di un villaggio inglese molto tradizionale e pittoresco, abitato da vecchi pensionati, che in nelle vicinanze ha il più grande centro di detenzione di immigrati illegali in Europa.

Felix Bazalgette-Joshua Hughes, Fratelli Carbonai, “The New Yorker”, free online 

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