La storia felice di un ragazzo africano carbonaio a Serra San Bruno
La
vita degli (ultimi?) carbonai a Serra San Bruno in Calabria, con un immigrato maliano
al lavoro, che ha dovuto lasciare ragazzo il suo Paese – bizzarramente ristretto al solo nome, Fofana (non ha un cognome, non è individuato, è il
“tipo” dell’immigrato). Carbonai della “fossa”, o “carazzi” nella parlata di
Serra San Bruno, di carbone da legna. Ripresi nella stagione cattiva, a
dicembre – quando in realtà non “si fa il carbone”, lavoro della primavera. Ma
giusto perché i due giovani autori, cineasti inglesi, si sono trovati a Serra San
Bruno nel tardo autunno?
Balzagette
lo presenta come un documentario politico, contro il “governo più a destra” mai
votato in Italia. Che fa della politica anti-immigrati la sua bandiera. Di
fatto è un documentario su un mestiere “storico”, quindi bizzarro, strano. In
un mondo ripreso come pre-moderno – Serra San Bruno, forse la prima delle
certose cistercensi in Italia, è un sito turistico di massa. Un documentario in
bianco e nero. Con poca luce. Breve, di 17-18 minuti – parlato in italiano. Ma
ambizioso: prova il film di caratteri. I personaggi che intervengono, in dialetto
o in italiano molto marcato localmente, sono caratterizzati. Nazareno Scrivo
carbonaio all’opera, con il figlio. Insieme con Fofana ricordano il carbonaio
Bruno Vallelunga, che a un incontro casuale con Fofana gli ha chiesto di
lavorare con lui. Nessun dramma: Fofana ha anche le carte necessarie, i carbonai
di Serra San Bruno vogliono essere in regola.
Il
titolo echeggia a un orecchio inglese i “cugini” carbonari di
centocinquant’anni fa, dei giovani mazziniani, anche non giovani – associati
nell’opinione europea (fino ai racconti di Stevenson) al primo terrorismo
politico. Molta malinconia, anche se la storia è di amicizia. E di fatica, ma
senza lagne, c’è l’orgoglio del mestiere. Fofana se ne andrà a Roma, dice – e
non ci sono ostativi o correttivi: solo che è giovane, e vuole vivere la vita
metropolitana. Forse, da Roma, riprenderà contatto con la famiglia, che ha deciso di lasciare, a Bamako.
La
rivista, che lo ha prodotto, è felice che il documentario sia stato selezionato
all’AFI Fest a Los Angeles fra un mese, dell’American Film Institute, Correttamente
presentandolo come “una storia di amicizia e lavoro duro, in mezzo alla retorica
anti-immigrati in Italia”.
Balzagette
è al suo secondo documentario sull’immigrazione in Europa. Il primo è stato,
cinque anni fa, con notevole successo, un cortometraggio ancora più breve di
questo,”Welcome to Harmondsworth”, un titolo che risuona come “mondo
dell’armonia”, ed è il nome di un villaggio inglese molto tradizionale e
pittoresco, abitato da vecchi pensionati, che in nelle vicinanze ha il più
grande centro di detenzione di immigrati illegali in Europa.
Felix
Bazalgette-Joshua Hughes, Fratelli
Carbonai, “The New Yorker”, free online
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