La violenza è idilliaca in guerra
Un giovane universitario passa il tempo sull’isola
di Saipan, appena liberata. Legge “The Pocket Book of Verse”, appena può, di nascosto.
Gironzola sforzandosi di non pensare a dove si trova, guardando indifferente il
passaggio di soldati feriti. S’immalinconisce nella natura rigogliosa dell’isola,
perdendosi in visioni di lune di miele tra gli alberi di ibisco.
Il tempo libero di un giovane universitario in armi
nel Pacifico. Dopo le vittorie “orrendamente sanguinose” di Iwo Jima e Saipam.
In attesa dell’ordine d’invasione del Giappone – operazione poi esclusa dal
bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, questa settimana di 79 anni fa.
Styron era allora sottotenente arruolato nei Marines, sbarcato a Saipam, in attesa
dell’operazione di sbarco.
In “Rat Bach” la rivista pubblicava nel 2009 una parte
dei ricordi di guerra di Styron.
“Guardavamo in alto gli aerei, come si alzavano sopra la spiaggia, intuivano le
loro pance gonfie, pregnanti di bombe. Il rumore era brutale, ma gli aerei si
sollevavano con sincrona grazia, e quando volavano oltre la luna, allora perfettamente
marginati, mi ricordavo allora del compito malvagio e della orribile
moltitudine di morti in quelle città di carta e bambù. Ma la cosa non mi
preoccupava molto… Comunque, ero pronto”.
William Styron, An Invasion that didn’t happen,
“The New Yorker”
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