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domenica 25 agosto 2024

L’amore estremo e l’impossibilità di vivere, in Israele

Un  amore per corrispondenza, tra sconosciuti, “sul piano astratto dove soltanto le anime si sfiorano, separate dal corpo e senza più legame con esso”. Una storia d’amore affascinante, e-benché distruttivo - dalle cronache si apprende che Valerie Perrin, la scrittrice francese, è così entrata in contatto con Claude Lelouch, ma con finale lieto.
La quarta di copertina è la sinossi più attendibile. Un agente segreto israeliano s’innamora di una ragazza incontrata sull’autobus: è lei, la visione, la donna del destino – sarà Thea, la divina. Ne carpisce l’indirizzo e avvia una corrispondenza amorosa avvincente. A senso unico, perché la ragazza, che è turbata dalle lettere dello sconosciuto, non sa dove scrivergli – gli scrive mentalmente. In un primo momento. Poi l’uomo le dà degli indirizzi fermo posta, che ritira con vari accorgimenti per non farsi vedere, e il colloquio a distanza a prosegue, per anni, ora più intenso e spedito.
Una storia d’amore, ma con derive sempre più morbose. Verso il controllo ossessivo della ragazza. Compreso, forse, un assassinio. Ma sempre ad elevato diapason. E avvincente: la ragazza, ormai donna, non se ne sente soffocare. Non ci sarà il lieto fine, la storia personale di lui non lo consente, ma è come se, l’amore resta, quale è stato.
Come l’uomo è diventato un agente segreto è un’altra storia. Questo è un secondo racconto, benché sullo sfondo: il bravo cittadino israeliano, che ha già avuto più vite, mal si adatta alla nuova, una sorta di leva obbligata. Non contestata, ma che non gli consente di avere una vita vera, sempre di barba e baffi finti, e occhiali scuri. Il titolo, l’essere dalle due nature, si spiega più con questo secondo aspetto della storia.  
Tammuz ((1919-1989), israeliano di origine russa, di una famiglia che fu tra le prime a emigrare in Palestina, nel 1924, diplomatico israeliano e giornalista (editorialista di politica estera), sembra, guardato da lontano, un calco della sua storia. Il suo personaggio è un disadattato. La sua prima esperienza di giovane cresciuto, ventenne, è di confrontarsi con un arabo che lo sfida: vita o morte. Ma non è quella decisiva. Quella viene in Cisgiordania, dove pure era stato allevato tra grandi agi in una enorme fattoria, che riscopre dopo l’occupazione nel 1967: “Chi cono io?”, si chiede. E capisce alcune cose: "Quella che prima era una mia esperienza privata è diventata un’esperienza comune a molti. Un tempo solo io tra gli ebrei avevo combattuto un arabo in un guado dello Iabbok uscendone vincitore… Adesso tutti gli ebrei prendono parte a questa pazzia. Forse pochi ne sono coscienti, ma tutti lo sentono; hanno vinto e hanno perso. Hanno lottato, hanno lasciato morire e hanno uccio, e adesso la vittima e il vincitore hanno nostalgia l’uno dell’altro, e non c’è modo di tornare indietro, perché uno di loro è stato ucciso. In realtà, sono stati uccisi entrambi”.
Questo nel primo anno dell’occupazione, quando lui poteva mimetizzarsi con gli arabi come uno straniero. Un anno dopo, quando il protagonista torna dall’Europa, “l’incantesimo era svanito: gli arabi dei territori occupati si erano ripresi dallo stupore, erano pieni di rabbia, tiravano bombe a mano sulle folle di turisti ebrei nei vicoli e nei villaggi, sistemavano bombe nel centro della città….. e il numero dei visionari andava diminuendo con incredibile velocità”.  
Tammuz – i suoi personaggi - pensa mentre racconta. Nel mezzo, in una paginetta, 68-69, tutto  il Mediterraneo. Il titolo, e buona parte del racconto (la musica fa parte dell’amore de loin), sono spiegati a metà narrazione, in forma di visione in dormiveglia, del protagonista bambino che  guarda l’acquaforte attaccata alla parete, arrrivata in regalo da Parigi, col mostro dalla testa di toro e il corpo di uomo, “che si piegava sulle ginocchia in un’arena, sul punto di morire”. Il bambino vuole fortemenrte un miracolo, che il minotauro sia salvato, ma la cosa non avviene e allora chiude gli occhi. “E chiudendoli vide, come dal di fuori, che apriva una breccia nel primo cerchio della musica, entrava e vi si fermava un poco. Poi aprì un’altra breccia nel secondo cerchio , si trovò vicino al centro; e alla fine aprì una breccia nel terzo cerchio – e subito si addormentò”. È il percorso amoroso – “stare svegli al centro della musica è impossibile, è pericoloso e superiore alle forze di chiunque”.
Benjamin Tammuz, Il Minotauro, e\o, pp. 171 € 12

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