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L’amore estremo e l’impossibilità di vivere, in Israele
Un amore per corrispondenza, tra sconosciuti,
“sul piano astratto dove soltanto le anime si sfiorano, separate dal corpo e
senza più legame con esso”. Una storia d’amore affascinante, e-benché distruttivo - dalle cronache si apprende che Valerie Perrin, la scrittrice francese, è così entrata in contatto con Claude Lelouch, ma con finale lieto.
La
quarta di copertina è la sinossi più attendibile. Un agente segreto israeliano
s’innamora di una ragazza incontrata sull’autobus: è lei, la visione, la donna del destino – sarà
Thea, la divina. Ne carpisce l’indirizzo e avvia una corrispondenza amorosa
avvincente. A senso unico, perché la ragazza, che è turbata dalle lettere dello sconosciuto, non sa dove scrivergli – gli scrive mentalmente. In un primo
momento. Poi l’uomo le dà degli indirizzi fermo posta, che ritira con vari accorgimenti
per non farsi vedere, e il colloquio a distanza a prosegue, per anni, ora più
intenso e spedito.
Una
storia d’amore, ma con derive sempre più morbose. Verso il controllo ossessivo
della ragazza. Compreso, forse, un assassinio. Ma sempre ad elevato diapason. E
avvincente: la ragazza, ormai donna, non se ne sente soffocare. Non ci sarà il
lieto fine, la storia personale di lui non lo consente, ma è come se, l’amore
resta, quale è stato.
Come
l’uomo è diventato un agente segreto è un’altra storia. Questo è un secondo
racconto, benché sullo sfondo: il bravo cittadino israeliano, che ha già avuto
più vite, mal si adatta alla nuova, una sorta di leva obbligata. Non
contestata, ma che non gli consente di avere una vita vera, sempre di barba e
baffi finti, e occhiali scuri. Il titolo, l’essere dalle due nature, si spiega
più con questo secondo aspetto della storia.
Tammuz ((1919-1989), israeliano di
origine russa, di una famiglia che fu tra le prime a emigrare in Palestina, nel
1924, diplomatico israeliano e giornalista (editorialista di politica estera),
sembra, guardato da lontano, un calco della sua storia. Il suo personaggio è un disadattato. La sua
prima esperienza di giovane cresciuto, ventenne, è di confrontarsi con un arabo
che lo sfida: vita o morte. Ma non è quella decisiva. Quella viene in Cisgiordania,
dove pure era stato allevato tra grandi agi in una enorme fattoria, che
riscopre dopo l’occupazione nel 1967: “Chi cono io?”, si chiede. E capisce alcune
cose: "Quella che prima era una mia esperienza privata è diventata un’esperienza
comune a molti. Un tempo solo io tra gli ebrei avevo combattuto un arabo in un
guado dello Iabbok uscendone vincitore… Adesso tutti gli ebrei prendono parte a
questa pazzia. Forse pochi ne sono coscienti, ma tutti lo sentono; hanno vinto
e hanno perso. Hanno lottato, hanno lasciato morire e hanno uccio, e adesso la
vittima e il vincitore hanno nostalgia l’uno dell’altro, e non c’è modo di tornare
indietro, perché uno di loro è stato ucciso. In realtà, sono stati uccisi
entrambi”.
Questo
nel primo anno dell’occupazione, quando lui poteva mimetizzarsi con gli arabi
come uno straniero. Un anno dopo, quando il protagonista torna dall’Europa,
“l’incantesimo era svanito: gli arabi dei territori occupati si erano ripresi dallo
stupore, erano pieni di rabbia, tiravano bombe a mano sulle folle di turisti
ebrei nei vicoli e nei villaggi, sistemavano bombe nel centro della città….. e
il numero dei visionari andava diminuendo con incredibile velocità”.
Tammuz
– i suoi personaggi - pensa mentre racconta. Nel mezzo, in una paginetta,
68-69, tutto il Mediterraneo. Il titolo, e buona parte del
racconto (la musica fa parte dell’amore de
loin), sono spiegati a metà narrazione, in forma di visione in dormiveglia,
del protagonista bambino che guarda
l’acquaforte attaccata alla parete, arrrivata in regalo da Parigi, col mostro
dalla testa di toro e il corpo di uomo, “che si piegava sulle ginocchia in
un’arena, sul punto di morire”. Il bambino vuole fortemenrte un miracolo, che il
minotauro sia salvato, ma la cosa non avviene e allora chiude gli occhi. “E
chiudendoli vide, come dal di fuori, che apriva una breccia nel primo cerchio
della musica, entrava e vi si fermava un poco. Poi aprì un’altra breccia nel
secondo cerchio , si trovò vicino al centro; e alla fine aprì una breccia nel
terzo cerchio – e subito si addormentò”. È il percorso amoroso – “stare svegli
al centro della musica è impossibile, è pericoloso e superiore alle forze di
chiunque”.
Benjamin
Tammuz, Il Minotauro, e\o, pp. 171 €
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