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venerdì 30 agosto 2024

Secondi pensieri

zeulig

Accidia – “Letargo dello spirito” la dice la romanziera P.D.James in “La stanza dei delitti”. E si chiede se non è più uno dei peccati capitali – l’“ostinata empietà nel rifiutare ogni gioia”. Per essere diventata pratica comune? Un peccato si vuole “eccezionale”, contrario a una certa razionalità, e quindi si derubrica quando non è più tale?
 
Classico – Il realismo aiuta a scrivere, non c’è idealità nella scrittura, anche se ai classici si dà questo privilegio. La scrittura nomina le cose, dice bene Roscellino, ma non deve esagerare, la retorica non ha censore peggiore dei suoi eccessi. Classico sta per misurato. Ma la misura è non inventare la realtà, pur inventando.
 
I classici, ha scoperto Tocqueville in America, sono aristocratici: scrivono per pochi, di temi scelti, e curano i particolari. Con opere peraltro non “irreprensibili”, poiché “ci sostengono dalla parte verso cui propendiamo”. Ogni testo non ha sostanza se non mutevole, compresa “la famiglia confusissima e zingaresca dei codici di Platone”, avrebbe detto il non citabile grecista Coppola, fascistissimo, ma il fatto è quello, già al tempo di Petrarca.
L’Enciclopedia, che fa il nostro mondo, è quella dello stampatore Le Breton. Che tagliava e cuciva per sue esigenze d’impaginazione, risparmio, legalità. Diderot lo scoprì un giorno che volle leggere in bozze un suo articolo della lettera S. Non protestò per non figurare responsabile dell’opera. Ma non protestarono neanche gli altri autori. E i classici iperdistillati non sono passati per schiere di copisti incolti, burloni, ebri? Sono classici per l’autorità di un grammatico oscuro, quali cose appartenenti alla prima classe dei cittadini, fra le cinque in cui l’ordinamento timocratico, in base al patrimonio fondiario, di Servio Tullio aveva diviso i romani. Dei latifondisti, insomma.
 
La narrazione no, ha vita propria. Ma in orizzontale. Una tessitura larga, piana, visibile. Non la storia che fa avanti e indietro, la freccia, ma un prato.
 
Filosofia – L’architetto è un filosofo? “Dicono che noi siamo bravi in pittura, scultura, musica, e non in filosofia come i tedeschi”, argomenta lo scrittore Saverio Strati nell’intervista “La mia età? Tremila anni di Calabria”, 2009, ripubblicata dal “Quotidiano di Calabria” il14 agosto: “Non è vero, noi la filosofia la facciamo con l’architettura”. È uno scrittore che riflette. Però, non col naso per aria: “Nei grandi palazzi del Rinascimento, e del post-Rinascimento abbiamo la struttura interna che è pensiero e la facciata esterna che è poesia”.
 
Nomadismo - Il nomade ha senso forte delle cose: nulla di più normato, regolare, immutabile, della vita dei nomadi, di più abitudinario. Si è nomadi da qui a lì. Ed è così che si costruisce una nazione: anzitutto viene il denaro, l’accumulazione primaria.
 
L’ebreo errante, favolista come il cabalista, si trasforma in roccioso colono senza mutare d’identità. Ci fu polemica tra i primi sionisti, tra chi voleva la rivoluzione e chi cercava case e terre. Ma non c’è partita in realtà, tra l’idea e la pietra, la rendita immobiliare che fonda la ricchezza. “Il vostro ideale”, Allen Ginsberg potè tardivamente ribattere ai sionisti, “è di costruire qui un nuovo Bronx”.
 
Peccato – È una nozione, o giudizio, e quindi mobile, evolve col contesto.
È atto o comportamento anomalo in rispetto a che cosa? Alla pratica o senso comune, accettata e quindi raccomandata, elevata a norma. Ci sono contesti in cui uccidere non è peccato, si sa, per esempio in guerra, o per legittima difesa. Istituzionalmente, legalmente. Ma è anche senso di colpa, e in questa forma è irredimibile, perfino persecutorio. Di chi ha fatto un incidente stradale, grave, mortale, senza responsabilità legale. La chiesa, che ne prevede l’assoluzione, è solo giusta, prima che caritatevole?


Realismo - Il realismo non è male, da Roscellino a Kant. “Ovunque io esigo vita”, dice il poeta Lenz di Büchner al buon pastore Oberlin, “possibilità di esistenza, e questo basta”. Il realismo serve alla bellezza, a trovarla e beneficiarne, non c’è una vera poesia idealista. “Le immagini più belle, le note più turgide e canore, si raggruppano e si dissolvono”, Lenz lo spiega benissimo: “Una cosa sola rimane: una bellezza infinita, che passa da una forma all’altra, eternamente dischiusa, immutata. Bisogna amare l’umanità, per penetrare nell’essenza speciale di ciascuno”. Serve a vivere, il realismo, e a godere. “Non sta a noi dire se la creazione sia bella o brutta. La certezza che quanto è stato creato ha vita viene prima di questo giudizio, ed è il solo criterio nelle cose d’arte”.

 
Il realismo serve alla verità. Cioè?
 
Storia - Bisogna essere per la “morale della storia”, come volevano i “Quaderni piacentini”, solo perché la storia approdi a negare se stessa: le guerre, i massacri e i processi. E, bisogna aggiungere, le sciocchezze.
 
La storia non è una macchina calcolatrice, scriveva Basil Davidson, dimenticato storico dell’Africa: “Si dispiega nell’immaginazione, e prende corpo in risposte multiformi”. Ma gli storici hanno le loro colpe. L’umanità si muove in modo continuo, anche se vario, mentre per capire le leggi del suo moto gli storici usano unità arbitrarie, discontinue: epoche, stadi, periodi, percorsi. E così, conclude Tolstòj, “ogni deduzione della storia si dissolve come polvere”. È come se si volesse coprire con la storia la realtà: si fanno appelli, s’invocano leggi, si creano fatalità. Si può sperare di capire le leggi della storia “solo ammettendo all’osservazione unità infinitesimali, il differenziale della storia, le inclinazioni omogenee degli uomini”, concede il conte. Che però ammonisce: “La stranezza e comicità della nuova storia è l’essere simile a un uomo sordo che risponda a domande che nessuno gli fa”. Ogni storia è nuova, ma è nota.
 
Quella contemporanea si vuole egualitaria. I ghigliottinati avevano nome e capo d’accusa, le loro colpe erano registrate, dissimili seppure uguali, David ne faceva quadri - anche se i quadri di David, sempre ammirati, restano di oscuro significato: la rivoluzione era una tappa, di non si sa che viaggio. Più dura è la violenza di massa, la follia in nome della ragione, l’obbrobrio della giustizia, di cui Auschwitz si volle completamento.

zeulig@antiit.eu

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