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Ciò che resta di Berlinguer
È il film, come da
sottotitolo, degli “ultimi giorni di Enrico Berlinguer”, il segretario del Pci,
gli ultimi precedenti la morte. Poco visto (prodotto da Sky, naviga da alcuni mesi
in proiezioni sparse, biblioteche, qualche circolo, molto apprezzato, da pochi),
è l’ennesimo santino su Berlinguer, profittando della morte praticamente in
diretta, sulla piazza di Padova – dei materiali repertati nei giorni successivi
al malessere mortale che lo colse al comizio.
Samuele Rossi ha lunga
esperienza di docufilm, specie del genere bio, di una personalità: Margherita
Hack fra i tanti, Carmelo Bene, il cestista Meneghin - anche di film a soggetto,
“Glassboy” nel 2020. Questo Berlinguer ripropone per alcuni filmati non ancora
pubblici. Ma del tipo noto: preoccupazioni per il malore, notizie che si
rincorrono, professioni di fede, e il funerale, le immagini del funerale a
Roma, piazza San Giovanni, rossa di bandiere.
Queste immagini, benché
non inedite, “la più imponente manifestazione di cordoglio popolare dell’Italia
repubblicana”, sono al montaggio la parte che più resta del film. Due milioni
di persone sono il segno di un evento ma anche di un’epoca. Che una
considerazione che le accompagna però induce a riflettere: “Berlinguer vedeva la
strada dove altri non la vedevano”. Quale? Quella del Pd, dei (soliti)
democristiani eletti con i voti dei (residui) Pci?
C’è un prima. Il
Pci aveva elaborato, già al tempo di Togliatti, l’arte del funerale – che Gioberti
diceva dei gesuiti: fu l’arte dei gesuiti per i morti eccellenti, Leopardi perfino
e Pirandello. Togliatti l’aveva iniziata con Stalin: “Gloria imperitura
a\ GIUSEPPE STALIN” disse nei manifesti, due metri per tre, in morte del
Piccolo Padre, “guida, maestro, amico”. E un cristallo di due metri per due, di
due quintali e mezzo, volle a palazzo Marescotti in via Barberis, luogo
felsineo del comunismo - cui si accede (si accedeva?) sotto l’insegna Deus propicius esto, Dio sia con te, e
la Madonna della notte e delle ombre, o della Divina Provvidenza - con l’Ode al
partito di Majakovskij e i segni del
riscatto: lampadina, cazzuola, falce, libro, penna, pallone, e un paio di sci. L’aveva perfezionata poi con Malaparte, il quale aveva fatto di tutto
affinché i gesuiti s’impadronissero di lui, a metà con Togliatti: la villa a Capri regalò al presidente Mao, la salma al Pci e a padre Rotondi,
per un funerale con bandiere rosse e messa cantata polifonica. L’arte i fratelli Taviani hanno poi codificata, in morte di Togliatti. Mortuario era pure il quadro-manifesto del Partito, di Guttuso: un
altro funerale, sempre di Togliatti. Si è continuato con Debenedetti, dopo avergli negato
la cattedra - tre volte, per non essere neorealista, non abbastanza, l’ultima
in punto di morte (il professor Sapegno, che era stato compagno di Debenedetti al
liceo, e all’università ne bocciava la nomina, pronunciò il necrologio: il
morto si prende il vivo). Il capolavoro elaborando in morte di Pasolini,
coreografico e di massa – in vita Pasolini non poté essere del Partito, aveva
dovuto restituire la tessera. Con bandiere, grandi immagini colorate, gagliardetti
della Resistenza, e masse, in ogni dove a Roma. Tutto poi d’improvviso
scomparso. I funerali e le masse – eccetto che ai concerti gratuiti. Dopo Berlinguer
a San Giovanni, Roma vide nel 2002 “un lungo fiume rosso” per le sue strade,
tre milioni questa volta di persone, che si direbbero un’allucinazione, se non
le avesse organizzate e trasportate Sergio Cofferati – ma Cofferati, chi è
costui, uno che ha offerto un giorno di vacanza a tre milioni, a Roma poi (il
23 marzo 2002 era sabato)?
E c’è un dopo: “Oggi
dici Berlinguer”, nota Aldo Grasso, “e pensi Bianchina”. C’è altra eredità? Berlinguer, se si celebra con tanti film, materiale costoso, un altro si preannuncia per il festival dem di Roma, come titolo di apertura, evidentemente vende, ma che cosa?
Il titolo è, non volendolo,
giusto.
Samuele Rossi, Prima
della fine
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