Il calcio noia
Juventus-
Psv Eindhoven, la gara di apertura della nuova super Champions League, si gioca
di fronte alle tribune vuote. A Milano, tre giorni dopo aver meravigliato a
Manchester, l’Inter non gioca il derby, si limita a guardare. Ovunque
partite di tocchettini striminziti, abulici (lenti), ripetuti (“tu dai la palla
a me, io la ridò a te”), un migliaio a partita, dieci ogni minuto, quindici togliendo
i tempi morti (proteste, var, “cinque” ripetuti a ogni mossa, celebrazioni a
ogni gol, anche gli annullati).
Una partita
ogni tre giorni, anche con ventidue titolari invece di undici, smobilita le squadre:
non ci sono più squadre, ogni calciatore prova a stare in piedi se proprio deve
andare in campo - aspettando la Champions, la vetrina, per poter cambiare squadra
alla prima finestra utile, per un milione in più, anche mezzo. Non c’è un calciatore
che identifichi una squadra. Le squadre le fanno i procuratori.
Il calcio
si vuole industria, e allora è un’industria infantile, da sprovveduti. Mentre
non è più sport. Non è atletismo – si celebra un calciatore per “un assist”,
uno in cento minuti di gioco. E non è passione, attaccamento, identificazione.
E anche mercato, ma meno remoto e più solido. E non sarà presto nemmeno spettacolo
in tv: non c’è niente di più noioso di due ore di calcio.
E gli arbitri.
Questi da commedia: supererogatori, tutti Ercole o Maciste, anche i
mingherlini, il mento mussoliniano, che danno e tolgono i gol per fuorigioco di
centimetri - non molti, uno-due (una volta, a ben ricordare, per l’ombra di un pettorale,
di un attaccante, si vede, che aveva fatto culturismo). Come dire: è uno spettacolo
non solo noioso, anche ridicolo.
Nessun commento:
Posta un commento