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lunedì 23 settembre 2024

Il denaro ha un’anima – ma niente magia

Già autore di monumentali memorie, che si leggono come un romanzo, qui individua, nel 1966, la nuova frontiera della ricchezza, che sarà chiamata globalizzazione - il meccanismo della globalizzazione, molti anni prima, e meglio, di ogni teoria dello sviluppo del secondo Novecento: crescere facendo crescere gli altri. Un’idea semplice, perfino semplicistica, che Schacht, banchiere centrale della Germania primo Novecento, aveva elaborato e si è portata appresso contro la teoria e la pratica delle “riparazioni” punitive dopo la Grande Guerra. L’idea si affermerà tardi, dopo Tienanmen, quando gli Stati Uniti scopriranno la Cina, la miniera del turbocapitalismo.
Un saggio del 1966 – subito tradotto da Giorgio Zampaglione per le edizioni del Borghese. Nel dopoguerra Schacht è sato letto in Italia come uomo di destra, benché assolto a Norimberga, e di legami stretti, sociali e di affari, col mondo anglo-sassone. Consulente per lo sviluppo nel dopoguerra, prima di farsi saggista, di molti governi dell’allora Terzo Mondo. Dell’Iran di Mossadeq, che nel 1951 nazionalizzò l’industria petrolifera e fu rovesciato dalla Cia (“gli anglosassoni dovrebbero nel frattempo avere constatato come egli fosse in anticipo su di loro, oltre che sugli stessi suoi tempi” - in anticipo sui criteri di gestione più redditizi). Di Enrico Mattei e dell’Eni, per la “liberazione” della Baviera con gli oleodotti da Genova e da Trieste – l’inizio del decollo della Baviera, da Land contadino e arretrato a Land più ricco della Germania e dell’Europa, con l’energia a buon mercato. E di molti altri Stati: Indonesia, India, Siria, Filippine, eccetera.
Con alcune saggezze. “Il denaro ha un’anima - fonte delle più diverse possibilità”. Anche se “niente al mondo ha meno da spartire con la magia di un’operazione valutaria. Il denaro vuol essere trattato con lucidità e freddo calcolo”. Tanto più per essere di fatto molte cose, felicità, infelicità, eccetera. In particolare, è denaro la guerra: “Così rispose il maresciallo Trivulzio al suo re, il francese Luigi XII, che voleva conquistare Milano: «Per fare una guerra sono necessarie tre cose: denaro, denaro, e ancora denaro»”.
Spiega la stabilizzazione del marco nel primo dopoguerra, a due riprese, primi anni 1920 e primi 1930, opera di cui va fiero – con riconoscimento unanime. E recrimina sul secondo dopoguerra, quando, benché non legato al nazismo, e anzi da ultimo oppositore, perde tutto, anche le proprietà, e deve ricominciare daccapo. Vuole aprire una banca ad Amburgo, ma il Senato cittadino non lo autorizza. E il cancelliere Adenauer lo prega di non “interferire” nelle questioni economiche in Germania. Con qualche aneddoto anche sulla sua esperienza di consigliere dei governi afroasiatici. I francesi, volendo rilevare una banca tedesca in Medio Oriente, gli chiedono il “dossier secret”.  Notevole anche, in anticipo, la critica alle politiche dello sviluppo intese come “aiuti allo sviluppo”, che non aiutano i beneficiari, semmai i donatori, ma soprattutto sono uno spreco senza esiti.
Non tralascia gli argomenti spinosi. Sul suo rapporto con Hitler (con Goering più che con Hitler) come presidente della Reichsbank, la banca centrale, dal 1933 al 1936, e come ministro dell’Economia, dal 1934 al 1937, membro onorario del partito Nazista. Nel 1938 contrario alla politica antisemita, con gli assalti alle “proprietà” la “Notte dei Cristalli” – la proprietà è sacra per Schacht. Si dice anche ideatore di un piano - che “con mia viva sorpresa Hitler accettò” – di collocazione all’estero degli ebrei che volessero lasciare la Germania, anche quelli senza mezzi. A mezzo di un prestito in dollari per un miliardo e mezzo di marchi, che gli ebrei stranieri affluenti avrebbero dovuto sottoscrivere, con la garanzia di un patrimonio ebraico in Germania valutato dalla Reichsbank in sei miliardi di marchi. Con cui costituire un fondo, da affidare a un comitato fiduciario scelto dalla comunità ebraica, che avrebbe favorito l’emigrazione, cioè chi emigrava, e conseguentemente i paesi destinatari finora restii ad accogliere ebrei privi di mezzi. Un piano che Hitler lo avrebbe incaricato di attuare a Londra. Dove Schacht trovò, dice, il consenso degli ambienti ebraici più influenti della finanza, ma il no reciso del dr. Chaim Weizmann – che dopo la guerra diventerà il “cacciatore dei nazisti”.
Hjalmar Schacht,
Magia del denaro, Oaks, pp. 310  € 24

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