Il denaro ha un’anima – ma niente magia
Già autore di monumentali
memorie, che si leggono come un romanzo, qui individua, nel 1966, la nuova frontiera
della ricchezza, che sarà chiamata globalizzazione - il meccanismo della globalizzazione,
molti anni prima, e meglio, di ogni teoria dello sviluppo del secondo
Novecento: crescere facendo crescere gli altri. Un’idea semplice, perfino
semplicistica, che Schacht, banchiere centrale della Germania primo Novecento, aveva
elaborato e si è portata appresso contro la teoria e la pratica delle “riparazioni”
punitive dopo la Grande Guerra. L’idea si affermerà tardi, dopo Tienanmen, quando
gli Stati Uniti scopriranno la Cina, la miniera del turbocapitalismo.
Un saggio del 1966 – subito
tradotto da Giorgio Zampaglione per le edizioni del Borghese. Nel dopoguerra Schacht
è sato letto in Italia come uomo di destra, benché assolto a Norimberga, e di legami
stretti, sociali e di affari, col mondo anglo-sassone. Consulente per lo
sviluppo nel dopoguerra, prima di farsi saggista, di molti governi dell’allora
Terzo Mondo. Dell’Iran di Mossadeq, che nel 1951 nazionalizzò l’industria
petrolifera e fu rovesciato dalla Cia (“gli anglosassoni dovrebbero nel
frattempo avere constatato come egli fosse in anticipo su di loro, oltre che sugli
stessi suoi tempi” - in anticipo sui criteri di gestione più redditizi). Di
Enrico Mattei e dell’Eni, per la “liberazione” della Baviera con gli oleodotti
da Genova e da Trieste – l’inizio del decollo della Baviera, da Land contadino
e arretrato a Land più ricco della Germania e dell’Europa, con l’energia a buon
mercato. E di molti altri Stati: Indonesia, India, Siria, Filippine, eccetera.
Con alcune
saggezze. “Il denaro ha un’anima - fonte delle più diverse possibilità”. Anche
se “niente al mondo ha meno da spartire con la magia di un’operazione valutaria.
Il denaro vuol essere trattato con lucidità e freddo calcolo”. Tanto più per essere di fatto molte cose, felicità,
infelicità, eccetera. In particolare, è denaro la guerra: “Così rispose il maresciallo
Trivulzio al suo re, il francese Luigi XII, che voleva conquistare Milano: «Per
fare una guerra sono necessarie tre cose: denaro, denaro, e ancora denaro»”.
Spiega la stabilizzazione del marco nel primo
dopoguerra, a due riprese, primi anni 1920 e primi 1930, opera di cui va fiero –
con riconoscimento unanime. E recrimina sul secondo dopoguerra, quando, benché
non legato al nazismo, e anzi da ultimo oppositore, perde tutto, anche le proprietà,
e deve ricominciare daccapo. Vuole aprire una banca ad Amburgo, ma il Senato
cittadino non lo autorizza. E il cancelliere Adenauer lo prega di non “interferire”
nelle questioni economiche in Germania. Con qualche aneddoto anche sulla sua
esperienza di consigliere dei governi afroasiatici. I francesi, volendo rilevare
una banca tedesca in Medio Oriente, gli chiedono il “dossier secret”. Notevole anche, in anticipo, la critica alle politiche
dello sviluppo intese come “aiuti allo sviluppo”, che non aiutano i beneficiari,
semmai i donatori, ma soprattutto sono uno spreco senza esiti.
Non tralascia gli argomenti spinosi. Sul suo rapporto
con Hitler (con Goering più che con Hitler) come presidente della Reichsbank,
la banca centrale, dal 1933 al 1936, e come ministro dell’Economia, dal 1934 al
1937, membro onorario del partito Nazista. Nel 1938 contrario alla politica
antisemita, con gli assalti alle “proprietà” la “Notte dei Cristalli” – la proprietà
è sacra per Schacht. Si dice anche ideatore di un piano - che “con mia viva sorpresa
Hitler accettò” – di collocazione all’estero degli ebrei che volessero lasciare
la Germania, anche quelli senza mezzi. A mezzo di un prestito in dollari per un
miliardo e mezzo di marchi, che gli ebrei stranieri affluenti avrebbero dovuto
sottoscrivere, con la garanzia di un patrimonio ebraico in Germania valutato dalla
Reichsbank in sei miliardi di marchi. Con cui costituire un fondo, da affidare
a un comitato fiduciario scelto dalla comunità ebraica, che avrebbe favorito l’emigrazione,
cioè chi emigrava, e conseguentemente i paesi destinatari finora restii ad accogliere
ebrei privi di mezzi. Un piano che Hitler lo avrebbe incaricato di attuare a Londra.
Dove Schacht trovò, dice, il consenso degli ambienti ebraici più influenti della
finanza, ma il no reciso del dr. Chaim Weizmann – che dopo la guerra diventerà
il “cacciatore dei nazisti”.
Hjalmar Schacht, Magia
del denaro, Oaks, pp. 310 € 24
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