La guerra delle donne
Una località reale per
titolo, nelle Alpi trentine, di una vicenda realistica: il figlio sbandato dopo
l’8 settembre che è tornato a casa col commilitone cui deve la vita. Un giovane
taciturno, di un posto sconosciuto, la Sicilia. I due giovani sono tenuti nascosti
per sfuggire ai rastrellamenti, per i campi di lavoro in Germania. L’attrazione è
inevitabile della sorella maggiore per il giovane siciliano - unico maschio in
circolazione. Mentre le sorelle minori seguono i dettami insindacabili del padre,
che è il maestro del villaggio, e le amiche prendono strade diverse, lontano.
La vita dura dei masi –
allora come oggi - dall’alba al tramonto. E di notte di dialoghi intesi – bisbigliati,
accennati, lo spettatore li segue con i sottotitoli. Di un mondo tutto donne,
per la guerra. Eccetto l’autorevole padre, contrappunto obbligato, siamo sempre
in regime patriarcale – anche se incongruo: il padre-maestro è sempre perfetto nell’abbigliamento,
il tratto e la capigliatura, e s’immagina anche pulito, nella fatica, la povertà,
la stalla, le intemperie – mai un raggio di sole per tutta la lunga storia. Con
un carnet di donni ne sconce al fondo del cassetto, e le sigarette altrimenti
introvabili in guerra.
Premio probabilmente
obbligato a Venezia, per una regia al femminile, e per una vicenda tutta di
donne malgrado la guerra – la guerra delle donne. E il più apprezzato dagli
spettatori nei primi giorni di programmazione - anche se in numero dimezzato
rispetto agli spettatori fine settembre un anno fa. Con una promozione intelligente:
solo 25 copie, a seguire al martellamento stampa (Venezia, leone d’argento, Maura
Delpero, candidature Oscar), per le grandi città, che facciano il record al
botteghino il primo week-end, la domanda poi fatalmente salirà – successo chiama
successo (e ieri, il primo giorno del week-end, è andata bene: di gran lunga
primo per incassi di ogni altro film italiano, e di ogni altro debutto della
settimana).
Maura Delpero, Vermiglio
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