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La sera andavamo a via Veneto, tristemente
Cento testimonianze su Scalfari,
uomo felice. Ricordi e aneddoti personali, di un uomo e un anftrione leggero,
scherzoso – anche se non lo era. Con molto papa Bergoglio, che deve averlo chiamato
spesso – molti hanno ricordi legati alle sue telefonate. Il sottotitolo dice: “La
Repubblica di Eugenio nelle testimonianze di cento amici raccolte dal nipote Simone
Viola”, l’unico nipote di Scalfari, ma “la Repubblica” c’entra poco.
Ricordi felici di un mondo
felice: una raccolta di “memorie grate”, brevi e divertite. Una sorta di
personale “Una sera andavamo in via Veneto” - qui in via Nomentana oppure a
Velletri - senza cioè lo spessore politico. Che richiama però irresistibile il “generone
romano” bersaglio del vecchio “Espresso”. Feste, in città e in campagna, balli,
bons mots, allegria, simpatia. In redazione è sempre “messa cantata”, il
coordinamento antimeridiano, aperto alla redazione, è sempre una celebrazione.
Con il papa a sancire la grandeur di Scalfari. Persona del resto, nel
suo calcolato cinismo, attraente – “Eugenio diceva di essere un narciso, ma era
soprattutto un gran seduttore”, Ezio Mauro.
Nel concertino una chicca
contabile, che aiuta a fare la storia del giornale, di Adriano De Concini, che
fu direttore amministrativo con Giancarlo Turrini fino al 1980: “Ad agosto del
1977 il giornale toccò la punta più bassa di vendite, 89 mila copie. C’era già
aria di chiusura…. A gennaio (1978) si pensava di chiudere il giornale perché
non c’erano margini di miglioramento… A marzo del 1978, con il sequestro Moro,
si arrivò a 180 mila copie”. De Concini, solo in ufficio alle 9 del 16 marzo, quando le agenzie battono l’assalto, fa
chiudere dabbasso porte e cancelli, e dispone l’edizione straordinaria, con le
locandine. Quando Scalfari arriva in redazione detta il titolo: “Moro rapito dalle
Br”. E il giornale decolla: “Uscimmo con un’edizione speciale sulla dorsale Na-To
(Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino), perché la distribuzione non
poteva raggiungere le altre località durante il giorno, con il traffico delle
ore diurne. Da quel momento iniziammo a tirare il massimo di copie possibili,
340 mila”.
Scorrendo l’affettuosa raccolta
all’ombra del quarantennio di politica italiana che ha accompagnato le fortune
del giornale, e il crollo successivo che lo vede ai numeri allarmati di De Concini,
la lettura finisce deprimente: sotto il fondo aneddotico, umano, personale, è il
quadro di una élite che ha dissipato un patrimonio culturale – umanistico,
liberale, socialista – senza lasciare traccia. A meno che questa non sia il recupero,
quanto involontario?, del vituperato “democristianesimo”, degli affarucci quando
non della corruzione, della politica dei piccoli e grandi poteri “invisibili”,
sotto gli occhi di tutti.
Simone Viola (a cura di),
100 volte Scalfari, “la Repubblica”, pp. 269, ill. € 8,90
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