La tavolata a Zervò
È rimasto l’unico posto
dove avere un caffè o ordinare le tagliatelle ai funghi in Montagna: una capanna
di lamiera ondulata. A fronte dei giganteschi edifici del Sanatorio, che è
diventato il nome del luogo senza averne mai avuto la funzione – edifici non finiti
nel Quaranta, allo scoppio della guerra, riadattati nei 1990 a comunità di recupero
per giovani drogati, e poi di nuovo abbandonati. Un prato curato fronteggia la
capanna, delimitato da ortensie blu.
Fa ancora caldo.
Sul prato giocano bambini, in gran numero. Le femmine più mobili, i maschi più
applicati, all’oggetto, lo strumentino, il meccanismo da svitare. Si vedono ma
non si sentono. Sdraiati a gruppi, attorno a giovani donne accosciate, o non del
tutto giovani. Che si applicano a ognuno di loro. Saranno una colonia estiva,
gli sgoccioli di una colonia, oggi è anche domenica.
Sotto la tettoia
si prepara un banchetto, sembra. Un grande tavolo viene apparecchiato, per
venti, trenta coperti. Uomini cominciano ad affluire, tutti si direbbe eguali,
complessione massiccia, capigliatura folta a corta, colore scuro, sneakers immacolati,
shorts e maglietta, fa ancora caldo, depilati e tatuati. Le ragazze con i bambini
a mano a mano hanno già preso posto. E anzi già mangiano. Non sembra possibile
ma sta succedendo: sono parenti e amici che passano la giornata insieme, con i
figli. I bambini quando hanno finito si alzano per una sgambata, e poi
ritornano, ognuno al suo posto.
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