Ritorno allo sceneggiato, in grande stile
Magistrale la
scena iniziale del terremoto a Bagnara, breve, il tempo giusto del terremoto, e
da cine-verità. Grandi panoramiche delle piazze, i mercati, i palazzi, esterni
e interni, di Palermo. Dove i Florio, poveri “putighari”, bottegai, di spezie, di
Bagnara in Calabria, decidono di stabilizzarsi – sulle orme di parenti e paesani
che, come avviene in tutte le emigrazioni (a quella italiana in Nord America, in
Perù, in Argentina, in Venezuela, in Australia), se ne fanno una piccola rendita,
con “sistemazioni” e anticipi a larga resa. Dialoghi appropriati. Interpreti aderenti al ruolo, in
queste prime puntate, Marchioni (Paolo Florio), Briguglia (il fratello
Ignazio), Ester Pantano (moglie di Paolo, ma innamorata di Ignazio) e il figlio
e nipote Ignazio, artefice delle future fortune, almeno finché lo interpreta Eduardo
Scarpetta – Riondino, nella scena madre dei titoli di testa, e poi Ignazio
adulto, ha sempre la stessa espressione, quella dal “Giovane Montalbano” alla “Palazzina
Laf”.
Costumi, interni, esterni, una grande
produzione, senza le furbe economie delle “serie” - viaggi attorno a una stanza:
la Rai apre la stagione tornando ai fasti degli sceneggiati anni 1970. Palermo
peraltro si presta, è scena incomparabile. Peccato che la Rai (Genovese?) la
legga nello “stile Rai”, tristanzuolo, cieli grigi, visi pallidi, interni luttuosi,
invece che luminosa, come è, vedi la serie “Montalbano”. Peccato anche per le musiche,
stranissime, hop, funk, perfino, sembra, electronic –
pubblicità occulta? Peccato anche (ma forse è di Auci, l’autrice
del romanzo dei “Leoni”?) che il terremoto a Bagnara sia datato 1802, 1799 e
1788 – nessuna data plausibile (è stato nel 1783): Paolo Florio non emigra per cercare
fortuna?
Paolo Genovesi, I
Leoni di Sicilia, Rai 1, RaiPlay
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