Selfie d’autore
Dopo Franchini Postorino? La macchina dei selfie
“editoriali”, degli editor eminenti, ha aperto un nuovo filone? Qui con molta infanzia, di Pavese, diarista infelice, dei bambini felici sul desktop, e del Natale –
“il Natale è la festa dell’infanzia come l’estate”.
Una
narrativa soprattutto di sé, come è l’uso da qualche tempo. Del ricordo,
dell’autobio, dei selfie. Questo selfie di Postorino è diverso, è
un riemergere di echi frammentati e variegati, grandi, piccoli e minimi, di
fobie o mancanze, personali e di genere, ubbie, lampi di ricordi, atti agiti o
subiti. Senza machete, anzi di fioretto, come a una seduta di terapia
cognitivo-comportamentale. Postorino è anche in anticipo su Franchini: alcuni
di questi “affioramenti” sono riscritture di testi già pubblicati, elzeviri sul “Foglio”,
sui femminili, e altrove. Sulle letture fatte, numerose, su eventi e ricordi
personali. Partendo dovutamente dall’infanzia: la casa, le case, le nonne, le
zie, la madre naturalmente e il padre – e nella sua vicenda, di “donna del Sud”,
lo sradicamento (tema già di una sua diffusa esumazione, “L’estate che perdemmo
Dio”, su cui è voluta ritornare per la riedizione Feltrinelli). Nell’ottica del femminismo d’obbligo, sulle aggressioni o
prevaricazioni subite, fisiche e verbali - “Potrei scrivere pagine intiere
sulla violenza delle parole che gli uomini rivolgono alle donne. Molte sono in
questo libro”. La scrittura anche è “femminile”, il termine e la cosa sono
vieti, ma così è. Da paziente con l’analista muto, il lettore imperscrutabile.
Racconti di vita – di vite - non avventurosi. Se non in
interiore homini, come il vecchio genere delle confessioni. Oggi il genere
è alluvionale, di drammi picoli e minimi, da sedentari, abitudinari. Ma Postorino
si mantiene selettiva, riflessiva. Seppure procedendo per lampi, baluginii.
Tanto più che molti problemi deriva da una vita sacrificata alla presentazione
di libri - al “commercio”, da cui tanta fatica ha messo a liberarsi. Il più drammatico
di questi problemi, col tassista a Napoli, eletto a “dilemma del prigioniero”, poteva
risolvere con una call, o un whatsapp, invece dei tanti affanni.
Ma è un libro felice, sopra i drammi e i dilemmi, a quanto si può leggere tra
le righe – e sotto la roboante, ditirambica, presentazione che Eugenio Borgna
ne ha fatto prima dell’uscita, sul giornale dell’editore, un blurb perfino imbarazzante:
https://www.corriere.it/cultura/24_settembre_07/viaggio-abissi-dell-interiorita-nuovo-libro-rosella-postorino-dfa9b042-6d1b-11ef-a867-ce8605b07dff.shtml
Un libro d’autore, alla fine originale. Anche
se si procede per richiami o memorie occasionali, incidentali. E riflessioni
fugaci. Di pensieri, a volte fastosi, più spesso lugubri, su temi per lo più di
genere, dell’essere donna, femmina. Un libro cioè personale. Ma con
sufficiente, in qualche modo attraente, richiamo esterno. Nelle presentazioni
l’autrice spiega che non è un diario, non è un selfie, anche se – ma che
- si è “esposta molto”. Volendosi, dice, “un campione dell’umano in mezzo agli altri”
- dell’umano femmina se ancora esiste la parola.
Una sorta di “testimone del presente”, Postorino si
vuole. Ma anche questo si direbbe un presente che non è più: c’è poco o niente oggi della “condizione femminile”, per dire coatta, sacrificata - e anche ieri e avant’ieri, di madri, zie e
nonne, soprattutto fra le donne meno urbanizzate, meno “società civile”. Le sue
sono, si leggono, come storie personali, un racconto di sé. Varietà tra l’altro
con la quale aveva cominciato, con le Fresserinnen, se la memoria non
sbaglia, le ragazze mangione, e altri minimi aneddoti. E ha continuato fino a
recente, con i testi brevi sul “Foglio”, che sono la traccia di questa raccolta
– una raccolta e non un racconto finito, di immagini, flash, ricordi, anticipazioni,
eventi occasionali, paure, fobie. Apparentemente lievi queste, non prendere l’ascensore,
non volare, non guidare, malgrado la patente, piangere, anche solo davanti a un
libro. Che però sa raccontare. Con qualche radice psicologica.
Postorino
pone, involontariamente?, molti temi. Ricostruisce ambienti e storie,
soprattutto di sradicamenti e malesseri, come Ernaux, che mostra di avere letto.
Curioso, a proposito del suo “campione dell’umano in mezzo agli altri”, emerge
il ricordo di Ernaux in apertura del volumone Quarto Gallimard (la Plèiade dei poveri), 2011, la prima raccolta delle sue opere, che intitolava “Ècrire la vie”: “Scrivere la
vita. Non la mia vita, né la sua, neppure una vita. La vita, con i suoi
contenuti che sono gli stessi per tutti ma che si provano in modo individuale:
il corpo, l’educazione, l’appartenenza e la condizione sessuali, la traiettoria
sociale, l’esistenza degli altri, la malattia, il lutto. Non ho cercato di scrivermi,
di fare opera della mia vita: mi sono servita di essa, degli avvenimenti,
generalmente ordinari… per cogliere e portare alla luce qualcosa dell’ordine di
una verità sensibile”. Alla Ernaux, sono raccontati i genitori “bottegai”, le
zie e le nonne, la scuola, le scuole, con le compagne e i filarini.
Ma l’eco è piuttosto di Duras – di cui Postorino è
traduttrice, “Moderato cantabile”, “Testi segreti”, etc., e si professa cultrice.
Su problemi che solleva. E ci naviga dentro problematica, come Duras. Racconti,
echi, di un self frammentato, malgrado l’authorship – o non è l’authorship
del frammento? Assertivo (riflessivo) ma senza un filo.
Il riserbo, al fondo di tanto denudarsi, e i toni e i temi sono da Duras. Di un
selfie per lampi, problematici ma non risolutivi. E più spesso
indignati. Ma in small talk, senza discese agli inferi, le tragedie durasiane.
Il tutto più spesso rivissuto attraverso le letture – e questo la differenzia
(come gli affanni delle “presentazioni”: effetto del mestiere?) Poche esperienze,
minime: i genitori, le nonne, il compagno Livio, i cani, i gatti, le
presentazioni. E molte letture. Anche esse femminili, di scrittrici. E legate
al tipo di “ragazze” che “hanno problemi relazionali: sono aggressive, emotive,
egocentriche”, benché “non svincolate dai legami”.
Una narrativa psicoanalitica, per lo più. Ma anche
questa vivacizzata, in note mobili, narrative – a partire dalla “Rosella”
omonima che è la sua prima terapeuta, alla Casa Internazionale delle Donne. La psicoterapia
è altro tema obbligato della letteratura selfie. Di inconcludenti,
angosciate?, soporifere sedute, anche artificiose, seppure involontariamente –
al modo della mula del Berni, che sollevava i sassi per inciamparvi dentro. Il pavesiano
“mestiere di vivere”, o mal di vivere, o dell’inadeguatezza come ora è d’uso
dire, che però dilaga robustamente in letteratura, nel giornalismo, nell’intervista-che-non-si-
nega-a-nessuno, tra i divi del cinema e della canzone, oltre che della letteratura,
arti e mestieri che pure richiedono nervi, saldi, e organizzazione, piani
finanziari discussi e ridiscussi, e pure la cognizione del tempo. Qualche volta
avvincenti, anche se Sainte-Beuve non voleva che si desse peso alla vita degli
scrittori, come pure ancora Proust. Ma un secolo fa, quando Freud era una novità,
in Joyce, in Saba, nello stesso Proust, o in Kerouac, Carver, Lucia Berlin, et
al.. “Scrivere della propria intimità è un atto politico”, Postorino proclama
ancora nelle presentazioni. Duras lo ripeteva ossessiva – ma lei con un fardello
politico, in senso stretto, piuttosto pesante, fra tradimenti non indifferenti,
subiti o inflitti, di cui, si può dirlo con certezza, faticava a liberarsi.
Di fatto, Postorino si muove con una differenza sostanziale
da Ernaux, e anche da Duras, due autrici che non si sono “giustificate per il proprio
corpo” (intervista con Chiara Buratti su “7”). Ma questo, va aggiunto, per una
“condizione femminile”, cioè una psicologia (sedimentazione storica), una
sociologia e una prassi estremamente diverse in Francia rispetto all’Italia di
quaranta e cinquant’anni fa. Quando c’erano ancora le nazionalità nei massimi sistemi,
prima della globalizzazione (della pax americana) linguistica e semantica, in termini di cultura, storia, organizzazione sociale e familiare, pratiche tribali, claniche: le mentalità, o “psicologie nazionali”. Postorino non lo sa, non
lo registra, pur essendo passata nell’infanzia da Sud a Nord, da Reggio Calabria
alla Riviera di Ponente. Per essere i due mondi lontani ma simili, nella psicologia
del paguro e perfino nel linguaggio, nel riserbo e il non detto, nelle vocali
in u? Ma passando le Alpi, la differenza avrebbe visto enorme, fra il ceppo magnogreco
e quello celtico.
Un libro femminile, anche se pure questo non si può
più dire. Il rapporto complicato con la madre, come di tutte le ragazze, quello
improbabile col padre. E la scoperta del corpo. Molte pagine sul tabù (?) del mestruo.
Altre sullo sviluppo del seno. O sull’attenzione alle cosce, cose da cui i
ragazzi sono esenti – bella scoperta. E qualche abuso sessuale, accenno di abuso,
compreso il professore della celebrata laurea a Siena – ma l’università, forse
non a conoscenza del misfatto (non pubblico), tuttavia la tiene in considerazione
grande. Molto è delle vittime per se, in quanto donne. Qui c’è un vizio
in ogni rapporto. O altrimenti non c’è, non c’è rapporto - Postorino è giù
autrice di un “Corpo sociale”.
Il racconto di fatto di un un uncomfort
nell’epoca del comfort, se non di uno sconforto. Senza motivo – a parte l’inesausto
(inesauribile?) femminismo. Ma per ciò stesso più temibile? Secondo la
psicoanalisi sì. Le “angosce abissali” che l’autrice ha taciuto a tutti, anche
ai diari, le ha confessate “agli analisti, ma soprattutto ho lasciato che si
sedimentassero in me e si trasformassero, senza che lo decidessi, in
scrittura”.
Non è la sola insidia. Si parla troppo, negli spazi
infiniti aperti dalla rete, ma anche prima e fuori della rete - si direbbe con la
“caduta delle illusioni” - e quasi sempre di se stessi. La stessa autrice nella
stessa pagina, la 176, se (ce) lo dice: “Non so se è colpa dei social media…
Non so di chi sia la colpa, ma sospetto che non abbiamo più il permesso di tacere”,
anche quando non abbiamo o “non sappiamo che cosa dire”. E così è, il racconto è di come l’autrice si
vede e ci vede. A seguito di inciampi: letture, incontri, “presentazioni”,
gite, film – anche “Barbie” pone problemi, il film che è una colossale beffa, a
pagamento. Non manca Lacan, buon retore, qui con “il rapporto
sessuale non esiste”, uno dei temi a effetto con cui affollava i suoi seminari,
a pagamento. Ci sono anche le elezioni europee 2024 (giugno), per dirle “un
risultato avvilente” – giusto per mettersi tra i “belli-e-buoni” (ma, certo, ci
sarà pure chi soffre per un voto, elettorale)?
Dalle narrazioni iniziali per frammenti, cui qui
ritorna, Postorino si era fatta romanziera, con la reinvenzione di realtà storiche
attraverso l’occhio personale, di Hitler, di Sarajevo. Un’opportunità? Un
rischio?
Rosella Postorino,
Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente, Solferino, pp. 22 €
17,50
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