L'ideale d'Italia in Leopardi e Manzoni
Si
ripropone, in chiave commemorativa di un personaggio tra i più amabili dell’editoria
del secondo Novecento, lettore attento delle proposte che finivano sul suo
tavolo, epistolografo diffuso e partecipe, memoria quindi grata per molti, una
serie di suoi dotti e acuti - oggi più di prima, degli euforici anni 1960 - saggi.
Questo “Leopardi, Manzoni e altre imprese ideali prima dell’Unità”, è la sua “opera”,
la raccolta di una ricerca puntigliosa e ingegnosa sulla formazione
intellettuale dell’Italia. Analizzando gli autori centrali del secolo precedente
l’unità e specialmente, in dettaglio, nella scrittura, nel contesto, nelle polemiche,
Leopardi e Manzoni, come i due numi della patria da fare, ma anche Cattaneo, Alfieri
e Pietro Verri, arriva a una conclusione a tutti visibile ma non percepita, della
pascoliana “proletaria”, il Grande Paese che il mondo imperialista non ci
riconosce. L’Italia arriva all’unità senza fare tesoro dell’illuminismo, e
spesso anzi in polemica (Leopardi, Manzoni). Con l’esito negativo che tuttora
dura: incapace all’origine di scollarsi di dosso il mito confuso del “primato”,
morale e civile direbbe Gioberti, continua ad arrancare nelle sfide contemporanee.
Un tema che
Bollati ha ripreso in un paio di interventi trent’anni fa sulla rivista “Micromega”.
I testi qui riuniti sono del 1965, “Le tragedie di Alessandro Manzoni” (prefazione
all’edizione Einaudi delle tragedie); del 1968, “La «Crestomazia italiana. La
prosa» di Giacomo Leopardi”, introduzione alla pubblicazione Einaudi della “Crestomazia.
La prosa”; del 1985, “Vittorio Alfieri e la Rivoluzione francese”, “Alessandro Manzoni
e la Rivoluzione francese”, due voci del volume collettivo “L’albero della Rivoluzione”;
del 1995 “La prosa morale e civile. Da Verri a Cattaneo”.
L’esito, o la
chiave, è l’insistenza, intellettuale prima che sociale o politica. sulla “diversità”,
sulla “specificità”, oggi più che mai forte col populismo in cattedra. Che ha
impedito e, bizzarramente, continua a impedire, alla cultura italiana di
entrare nella modernità senza complessi e quindi con intelligenza, senza remore
preliminari. Un esito specialmente visibile nell’ambito culturale, o intellettuale,
che lo ha determinato: dall’opinione pubblica alle scienze umane, dal giornalismo
cioè all’accademia (ricerca), l’Italia è fuori degli schemi, ma complessivamente
a disagio – costante è la domanda di “riconoscimento”.
Giulio
Bollati, L’invenzione dell’Italia moderna, Bollati Boringhieri, pp. 195 €24
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