Un’Europa con meno Germania – e meno Usa
Il piano Draghi per l’Europa dice molte cose, che,
sintetizzate in una formula da lui evitata, significano: l’Europa a trazione
tedesca non funziona. La Germania ha prosperato negli anni di Merkel con la
politica più mercantilistica (nazionalistica) mai registrata nel dopoguerra,
nel campo bancario e in quello industriale (salvataggi e aiuti di Stato), con
accordi privilegiati con la Cina, politici oltre che industriali e commerciali
- e con l’energia a sconto fornita dalla Russia, si scopre ora che ha dovuto
chiudere quella fonte. L’Europa tenendo sotto la sferza delle “compatibilità”
(La Malfa) o dell’austerità.
È così che, a partire dal crac bancario americano
del 2007, aggravato per l’Europa dalla crisi del debito del 2011, e con la
crisi mondiale del covid 2019-2021, l’Unione Europea ha registrato la crescita
più bassa rispetto al resto del mondo. Complessivamente, negli anni del
Millennio, quasi un quarto di secolo, dal 2000 al 2023, il pil reale europeo è
cresciuto nel periodo dell’1,6 per cento, contro il 2,1 per cento degli Stati Uniti,
il 5,1 delle economie emergenti, l’8,3 della Cina. La quota della Ue a 28 sul
pil mondiale si è conseguentemente ridotta, dal 25 per cento circa al 16,6 per
cento a fine 2022.
Gli altri vanno in qualche modo veloci, l’Europa
ristagna. Nella produzione, e nella produttività che è il vero motore della
produzione. È come se fosse invecchiata: non investe, non a sufficienza, giusto
per la sostituzione, e non innova. Draghi vuole una serie di investimenti. Specie
per la difesa – dove però non sono augurabili. L’Europa va liberata dalle pastoie
del ventennio merkeliano. Il debito va affrontato, alcune economie ne sono strozzate
– per prima l’italiana. Le politiche fiscali vanno armonizzate – com’è che si
può scappare in Olanda, o in Irlanda? E soprattutto, i mercati finanziari vanno
irrobustiti. Allargando le scadenze e alleggerendo i pesi. Rafforzando l’euro, fino
ai treasury Ue, come polo d’attrazione dei capitali. Comunque ricordando
che non c’è salvezza dentro la gabbia del dollaro. Se non nei limiti e al
volere deel deep State di Washington, che non sempre combacia con
l’interesse dell’Europa, più spesso collide, da qualche tempo, già prima della
guerra in Ucraina, dichiaratamente.
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