martedì 8 ottobre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (573)

Giuseppe Leuzzi


Il dopoguerra fu scandito a lungo in Calabria, e anche in Sicilia, dalle alluvioni. In Calabria per le terribili fiumare, piccoli corsi d’acqua che all’improvviso in autunno dilagavano, rompendo ponti e strade. Quella del 1951 danneggio 68 paesi, e due furono ricostruiti su siti più sicuri, San Luca e Africo. Poi le fiumare sono state arginate. Dieci anni più tardi frane, crolli, smottamenti a Napoli, sempre con le prime piogge. Da qualche decennio
 le alluvioni colpiscono il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, e ora la Romagna. Sono le piogge alluvionali che si sono spostate da Sud a Nord? Le alluvioni del Sud non devastavano paesi, non si costruiva a ridosso dei torrenti.

 
Si vuole che i traffici sui tifosi di Milan e Inter fossero di ‘ndrangheta. Poi viene fuori che i conti li gestivano tre gentildonne. Molto milanesi, di tratto e nei ragionamenti, ma pur sempre donne. La ‘ndrangheta ha rinunciato a essere maschilista - fare figli maschi, eccetera?
La sociologia della mafia sarebbe da stand up comedy, da ridere.
 
La giustizia, purtroppo, no – non è da ridere. Se non c’entrava un Bellocco le mafie di Milan e Inter, in attività da decenni, non sarebbero state incriminate. Pur agendo alla luce del sole. Le Procure si muovono solo se c’è odore di mafia. E dunque c’è una gerarchia nel crimine, anche se il codice dice di no, un delitto è un delitto: la mafia è già un nastrino, una medaglia, un onore.
 
Ricordando Comencini, per l’uscita del film biografico della figlia Francesca, Fofi esuma il dimenticato “Delitto d’amore”. Stefania Sandrelli è la sposa, meridionale, di Giuliano Gemma, settentrionale. Il quale, quando lei muore per i veleni respirati in fabbrica, si compra una pistola, va in fabbrica e uccide il padrone. La pistola unificava l’Italia.
 
Teo Teocoli, di Taranto, ricordando i primi incontri con Celentano, di Milano, a 14 anni, dice: “Pensavo si chiamasse Celendano con la d, la somiglianza era la faccia da terrone che avevamo tutti e due”. La faccia da terrone?
 
Taurianova, la Città del Libro 2024, fu famosa non molti anni fa, venticinque, tra il 1989 e il 1991, per l’ultima faida, che fu sanguinosissima, 32 morti. Tra le famiglie Zagari (coi parenti Avignone, Viola e Fazzalari) e Neri (con gli Asciutto e i Grimaldi). La faida divideva anche i due quartieri-paese che avevano dato vita a Taurianova, Iatrinoli (gli Zagari e parenti) e Radicena (la fazione dei Neri). Un “genere” già allora da tempo in discredito, ma che non si può non dire illustre - “Romeo e Giulietta” – e che ora Netanyahu e Israele rispolverano.
 
Il Sud è malato di pubblico
Sono tutte settentrionali, e tutte al di sopra dell’Appennino, con le eccezioni di Firenze e Siena, le prime dieci province del Benvivere, del “Rapporto 2024 sul BenVivere e la Generatività delle Province Italiane”, che la Federcasse BCC-CR (Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali) realizza ogni anno, col giornale “Avvenire”. E sono tutte al di sopra dell’Appennino, con l’eccezione di Rimini, le dieci province classificate per “generatività” – c’era Ragusa ma ne è uscita. Per “generatività” il rapporto intende “la capacità di un territorio di «accendere» il singolo affinché con la sue azioni e relazioni abbia un impatto positivo sulle altre persone” - la socialità, calcolata su questi indici: raccolta differenziata, start-up, tassi di nuzialità, e di natalità, riduzione dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.
In termini di BenVivere (tredici indicatori, tra cui cooperative iscritte e età media delle madri al parto, suddivisi in Legalità e Sicurezza, Ambiente Cultura e Turismo, visto col segno positivo, Economia e Inclusione, Demografia e Famiglia), al fondo della classifica vengono Crotone e Reggio Calabria. Precedute da Taranto. Che viene dopo Caltanissetta, Foggia, Catania e Napoli. Le uniche oasi in tanto grigiore sono Isernia e Benevento, province minuscole.
Nela classifica della “generatività” invece, il Sud è più vivace. Catanzaro in particolare recupera in un anno 66 posizioni, sfiorando la top venti della classifica. Co un punteggio positivo in otto indicatori su tredici, per un globale 89,61 su cento. Più in generale, il rapporto individua una “generatività” più vivace al Sud che al Nord – mentre al Centro la dà in calo. In sintesi, si direbbe che il Sud sta male perché male amministrato, ma da solo si muove - i giovani scalciano, dove riescono a fare a meno del “pubblico”. Il Sud è malato di “pubblico”, del meridionalismo.
 
L’assistenza invece dell’operosità
In più punti di “Elegia americana”, il racconto della sua storia di “bianco povero”, in mezzo al popolo dei cafoni d’America, gli hillbilly, assimilabili ai terroni, figlio di genitori disadattati, nell’America impoverita degli Appalachi, dal Kentucky all’Alabama, J.D.Vance, ora candidato alla vice-presidenza con Trump, critica il modo di essere e di pensare di chi fa una professione di vivere dei sussidi pubblici: i fortunati sono ricchi di famiglia, o specialmente dotati. L’operosità non c’è, non c’è più. Se non a chiacchiere. Che Vance esemplifica con la “vicina di casa” che non ha “mai lavorato in vita sua”: “«Poiché tanti si approfittano del sistema, per le persone laboriose diventa impossibile ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno», diceva”, scroccona a buon diritto.
La critica dei sussidi è normale a destra. Ma Vance, all’epoca del libro peraltro non ancora di destra, non ne fa un caso politico. Oppure sì, ma al contrario: gli hillbilly, lavoratori da sempre Democratici, passano con i Repubblicani, che non amano il welfare, quando l’assistenza pubblica si fa invasiva – gli anni di Bush jr. e di Obama: il lavoratore povero paga, con le sue ritenute fiscali, le bistecche e il marameo al vicino, più spesso la vicina, che non fa nulla.
Il lungo, dettagliato, ripetitivo racconto è del grande e improvviso deperimento dei volitivi irlandesi-scozzesi degli Appalachi, degli hillbilly, già teste dure se mai ce n’erano (i nonni che lo crescono, i bisnonni), faticatori, orgogliosi, per la deindustrializzazione degli anni 1990, ma anche per i divorzi a catena, l’alcolismo, così comune, le droghe. E ne indaga tentativamente le cause. Ma ha capito che non se ne esce a motivo dei sussidi pubblici.
L’assistenza si è sempre detta necessaria al Sud nei tanti decenni ormai della Repubblica, dalle finte pensioni di invalidità al reddito di cittadinanza. Indispensabile? Una medicina che non cura. Ma non un palliativo: diseducativa, e deprimente – l’assistenza fa male, è una medicina poco salutare.
 
Quando la mafia divenne mito
Sembra che ci sia sempre stata, tanto è pervasiva, ma la mafia è mito da una trentina d’anni, quaranta. Da “La piovra”, la serie Rai che dal 1984 ne ha fato una potenza invincibile, in piena era Riina, della mafia cioè delle stragi, a ripetizione. Impunite, è vero, ma questo è un altro discorso. Mentre era solo sanguinaria. E ancora non aveva i pentiti “eroi”, il genere Buscetta dialettico, o i sanguinari Spatuzza, i Brusca, autori di centinaia di assassinii, anche crudeli (il ragazzino Di Matteo sciolto nell’acido, le stragi con le autobombe), che dicono tutto quello che si vuole dicano.
Il successo della “Piovra”, ben fatto da Damiano Damiani, rese il genere popolare in America, nel business delle serie tv. Portato anche lì in casa con successo, dalla serie dei “Sopranos”, di cui ora Sky offre tutta la serie, tanto è di culto, e celebra con un film documentario, “La vera storia”, con elogi sperticati. Alla regia e alla produzione, ma che inevitabilmente si ripercuotono sul soggetto – come di recente è avvenuto per “Gomorra”, il film scuramente magistrale, e poi la serie, tanto “dura” e tanto esibita, anche negli interpreti che venivano dal male e sono finiti male.
Ma, poi, la mafia diventa monumento in casa, in tv su Rai 1 e in America, cioè nel “mondo”, dopo la serie del “Padrino”. Invenzione dunque di Francis Ford Coppola. Che però, dopo i tre padrini, non si è più ripreso, non ha saputo fare granché – compreso, apre, l’ultimo film, “Megalopolis” (un remake non riuscito di Rosi, “Mani sulla città”?). E si vuole a tutti i costi lucano, della terra dei suoi nonni paterni, un meridionale familista.
Un cerchio che si chiude. Sul Sud come una morsa: tutti ci guadagnano, il Sud ci perde.
 
La squalifica del Sud
La questione meridionale nasce con l’unità - ovvio, prima dell’unità non poteva. Ma dopo è nata per un motivo preciso: per come è stata fatta l’unità. Amministrativamente ma anche culturalmente.
Prima dell’unità, cioè fino a metà Ottocento, il Sud era bello e brutto, buono e cattivo, ma non era “il Sud”. Viaggiatori, economisti e politici parlavano di Napoli, Palermo, delle Puglie come parlavano di Firenze, peraltro molto decaduta, Milano, allora poca cosa, o Torino come si fa di ogni soggetto o materia d’indagine: per quello che sono, senza graduatorie.
Non c’era “il Sud”, non c’era il preconcetto. Gladstone era un politico, e parlava da politico.  Goethe scrisse di Venezia scandalizzato dalla sporcizia – una città che pure “potrebbe essere pulita come qualunque città olandese”, il mare non inquina. Mentre trovava la Sicilia “chiave di tutto” e Napoli un “paradiso….  Essenza e oblio di se stessa”. 
Il Sud diventa “Affrica” con gli impiegati piemontesi, sia pure col grado di generale.
Non c’è da scandalizzarsi. Oggi il Sud è mafia a maggior gloria di Saviano, Gratteri, e altri meridionali scrittori di bestseller analoghi ai loro – i “gomorra” tirano al mercato.
 
Cronache della differenza: Napoli
“Un paradiso abitato da diavoli” non è di Goethe, Croce spiegava nel 1932, dopo lunga, e al solito accurata, ricerca bibliografica – la prima traccia trovava nel Cinquecento, in uno scrittore polacco. Ma è vero che Napoli è celebrata per iperboli. Dallo stesso Goethe: “Un paradiso, essenza e oblio di sé stessa” - essenza e oblio insieme? O Malaparte: “La più misteriosa città d’Europa, la sola città del mondo antico che non sia perita, come Ilio, come Ninive, come Babilonia”.  Ma in tante fantasie letterarie scompare, fisicamente. In “Malacqua”, il racconto di Nicola Pugliese, per lo stesso Malaparte, “La pelle”.
 
“Vittoria”, la madre di Torre Annunziata che vuole una figlia femmina dopo i tre maschi, e ci riesce, o “Nata per te”, su Luca Trapanese, infermiere single e omossessuale che riesce ad adottare e accudisce Alba, nata con sindrome di Down, due film di largo richiamo, cambiano un po’ l’immagine di Napoli – Torre Annunziata non è Napoli, ma Napoli è metonimia dominante. Come i due ultimi film di Sorrentino. Da qualche tempo vengono fuori da Napoli storie fuori quadro, niente camorra e guapperia, niente grande core e core ‘ngrato. Cioè sì, ma su un fondo di impegno applicato e continuativo.
Significativo anche che Vittoria e Trapanese non sono dichiarati “eroi”, come il linguaggio corrente vorrebbe.  
 
Torna in circolo la storia di Totò, che la figlia avrebbe raccontato, che la mattina usciva di casa con un fascio di banconote in tasca, perché “c’è sempre qualche napoletano disoccupato da aiutare”. Certamente falsa, perché Totò non era demente, e non “usciva di casa la mattina”, le celebrità non possono – serve a dire il napoletano di buon cuore? Ma è vero che a lungo c’erano a Napoli i “disoccupati organizzati”. Parte del folklore. Il cambiamento potrebbe essere questo: Napoli non privilegia più il folklore.
 
In carattere è invece la scoperta di una chiesa fatta da un “archeologo” clandestino: una chiesa dell’anno Mille, a otto metri di profondità, nel centro storico. Una struttura cioè rilevabile, con strumentazioni semplici, come l’ha rilevata lo scavatore clandestino, se non per documenti. Uno in realtà non clandestino, solo non autorizzato, era ben uno scavo in piena città, all’aperto. Di una capacità di fare dove il resto del mondo è ingessato – le Belle Arti, l’archeologia accademica.
 
Rosella Postorino, “Nei nervi e nel cuore”, ha un tassista napoletano che la lascia, per un ingorgo, lontano dall’albergo dove lei ha bisogno di passare, non si fa pagare la corsa, e promette di aspettarla per portarla al suo appuntamento. Lei ci mette mezz’ora e forse un’ora per rassettarsi, e all’uscita dall’albergo si pone il quesito: vado all’appuntamento con un altro taxi o cerco di rintracciare il primo? E se se ne è andato? Ma il taxista l’aspetta, “appoggiato a un muro”, e la porta all’appuntamento.
 
È vero che “il taxista forse veniva da fuori anche lui, perché ebbe bisogno d’impostare via Chiaia sul navigatore”. Ma comunque lavorava a Napoli, con i canoni di Napoli. È vero anche che col cellulare si fa presto anche a tenere i contatti, anche negli ingorghi napoletani. Ma l’aneddoto resta ugualmente ben costruito e il taxista “napoletano” credibile – tutto è possibile a Napoli. 
 
Il primo carico di vasetti di Nutella “verde” o vegana, prodotta dalla Ferrero a Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia, è stato venduto “in un negozietto che si affaccia su uno dei vicoli del centro storico di Napoli”. Era stato rubato all’uscita dallo stabilimento. Peccato, Napoli faceva di meglio, contraffaceva la merce – contraffare la Nutella “verde”? un impero.
 
Piange, dicono le cronache, Dino De Laurentiis celebrando i suoi vent’anni di gestione del Napoli calcio, portato fuori dal fallimento, ripotato in serie A, e da protagonista, in Italia e in Europa. L’uomo d’affari, sbrigativo e cinico, a Napoli è sempre coinvolto personalmente? Sarà questo che fa la differenza con Milano: quanto spreco di energia (nostalgie, rimorsi, scuse, vanti…) senza return, senza utile.
Bisognerebbe istituire un dividendo sentimentale?


leuzzi@antiit.eu

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