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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (574))
Giuseppe Leuzzi
La definzione dei Lep,
“livelli essenziali delle prestazioni”, centrali nella nuova legge ipearutonomista
– la ri-definizione dei Lep, che sono in Costituzione già da una ventina di
anni - i leghisti elegantemente assegnano a una ipereleghista, Elena D’Orlando.
Una giurista, che ha lavorato per Zaia e Calderoli. L’eleganza della Lega non
sorprende, si divora anche le briciole, ma com’è che questo governo si regge
sui voti del Sud?
I
treni che si fermano per il chiodo nel filo riportano dritto al brigante Musolino,
che finita la latitanza per avere inciampato, braccato dai Carabinieri, in un
filo avrebbe eslamato: “Malidittu chillu filu” – o avrebbe avuto tempo di dirlo
dopo l’arresto, o di raccontarlo ai compagni di carcere. È l’Italia che è
diventata meridionale,calabrese, aspromontana? O è l’Italia dei fili?
Va
al Sud il record delle tv locali, secondo il censimento AerAnti-Corallo, anche
se il mercato pubblicitario vi è ristretto, per non dire irrisorio. Delle 254
emittenti locali censite, 115 sono al Sud, 59 al Centro e 80 al Nord. La Lombardia
ne ha 27, la Campania 31, la Sicilia 34.
Sul
totale dei ricavi, 189 milioni, meno di un milione a emittente, due terzi vanno
al Nord, 124, e solo 35 al Meridione, quindi un quarto di milione per ogni
emittente. Di che vivono allora tutte queste tv? Degli “altri ricavi e
proventi”: i contributi pubblici e il mercato delle frequenze – che sono
anch’esse pubbliche. Gli “altri ricavi” rendono di più, 264 milioni. Un mercato, insomma, sempre di sussidi.
Che nturalmengte vanno soprattutto al Nord, per più della metà, 147 milioni. Al
Sud ne vanno 87, e questo basta – sono più del doppio dei ricavi industriali,
Pavese calabrese
– più che un caso (5)
Su
Pavese a Brancaleone molto è stato raccolto, con un paio di testimonianze anche
di prima mano, da Domenico Zappone, lo scrittore calabrese, in un reportage
sulla “Gazzetta del Sud” l’1 agosto 1958. Molto che richiama “Il carcere”, la
novella del confino, ma molto anche di prima mano.
Il
paese era nel 1958 come ai tempi di Pavese venti anni prima – oggi è un centro
turistico marino: “Una lunga strada parallela alla spiaggia fiancheggiata di
basse case tutte stinte, corrose dalla salsedine, anonime e precarie così come
si legge ne ‘Il carcere’”. Di Pavese non c’è nessun ricordo. I vecchi in piazza
ci provano, ma il nome non dice loro nulla né la condizione – “i confinati
erano tanti”. Il maresciallo dei Carabinieri che lo controllava, Mariano
Riccioppo, “è morto da tempo. Sono morti il suo padrone di casa e alcuni dei
suoi allievi (Pavese passava alcune ore della mattina insegnando a una mezza
dozzina di ragazzi, nella sua stessa camera-abitazione, n.d.r.). Le lettere che
scrisse agli amici sono state perdute”. Ma due suoi scolari – ragazzi in età,
che furono anche suoi amici all’osteria (ce n’è traccia ne “Il carcere”) sono
vivi e ricordano bene. Oreste Politi, “che oggi fa l’impresario edile”,
mantenne i contatti fino al ferale 1950: “«La tua cassetta natalizia mi ha
ricordato i giorni e gli odori di Brancaleone» mi scriveva nel gennaio del
1950, e prometteva un suo ritorno per l’estate per studiare da vicino questa
parte della Calabria, certo la più povera e la più negletta. Diceva di volere
arrivare fino a Africo, a Chorìo e a Roghudi per ambientarvi un racconto.
«Voglio farmi una mangiata di lumache e svuotare una bottiglia di vino greco»
scriveva ancora, ed era il giugno dello stesso anno.Prometteva che sarebbe
venuto ai primi di settembre”.
Politi
lo ricorda “di una compostezza sconcertante” quando insegnava, “non sorrideva
né scherzava mai”. Fuori invece s’intratteneva volentieri, “si divertiva alla
nostra spensieratezza, ai nostri bizzarri umori di ragazzi”. Erano peraltro
allievi già adulti: “Con Domenico Mangraviti e Angelo Palermiti fui tra i suoi
primissimi allievi”, continua Politi: “C’era con noi anche la figlia del
maresciallo, ma a questa dava lezioni in caserma”. Le lezioni erano di lettere
e lingue straniere – un modo per passare il tempo, dice Politi, e per
raggranellare qualcosa: “Noi ci mettevamo seduti sulle tavole del letto, mentre
lui occupava l’unica sedia”.
Con
Politi il legame fu stabile nei mesi del confino: “Noi due eravamo coetanei e
delle stesse idee politiche”, e “impiegammo ben poco a simpatizzare, per quanto
avesse un carattere tutt’altro che
facile”. Evitava gli altri confinati, ma non la politica. Polemizzava coi
fascisti, “senza acredine”, ma “a volte s’accendeva in viso e gesticolava”.
Pietro
Spinella, altro allievo e amico, ricorda che divenne “professore” in paese per
automatismo: “Non già per la posizione di confinato e per gli occhiali spessi,
cerchiati di tartaruga, massicci, che lo facevano decisamente uomo di studi,
quanto per quel suo fumare la pipa, pur essendo così giovane. Ai nostri paesi
fumano la pipa soltanto i vecchi, che, pertanto, sono considerati saggi”.
Politi
lo ricorda socievole, ma malinconico. “A mezzogiorno andava all’osteria di
Giovanni Bello…. Naturalmente con la pipa in bocca. Era di una frugalità spartana.
Cortese con tutti, pure evitava di intavolare discorsi con la gente” – ne “Il
carcere”, invece , all’osteria incontra gente, soprattutto giovani, che lo
interessano. Faceva il bagno il pomeriggio, “essendo a quell’ora la spiaggia
quasi deserta”. Faceva lunghe escursioni nei dintorni, talvolta in bicicletta:
“Quasi sempre lo accompagnavamo noi ragazzi, facevamo gare spassosissime di
velocità, noi a piedi e lui in bicicletta”. Spensierato (“felice”) lo ricorda
una sola volta, alla “Festa del riposo”. Una festa inventata dal medico di
Brancaleone, il dottor Vincenzo De Angelis, “antifascista irriducibile”, quando
Mussolini abolì il Primo Maggio, la Festa del lavoro. Il medico allora fece una
festa “sul cocuzzolo del paese vecchio” – un posto che anche Pavese ricorda,
dove c’era un confinato molto impegnato politicamente, che lui evitava – e la chiamò Festa del riposo:
“Distribuì centinaia di fischietti, i cui sibili implicitamente erano diretti
al fascismo”, e vino a fiumi. “Pavese fischiò con gli altri e fu contento”,
racconta Politi: “Rientrato a casa, confessò di avere trascorso un giorno
bellissimo”.
Scriveva
anche. Secondo Politi “traduceva senza pentimenti e senza vocabolari,
riempiendo dozzine di quadernetti da due
soldi che poi legava in volume”. A proposito dei quali ha un Pavese anche
cospiratore: “Una volta ne fece recapitare uno a Torino per mezzo di un
allievo”, che evidentemente partiva per Torino, “a una sua amica”.
Raccomandando al ragazzo: “Non andare da mia sorella, non dire il tuo nome, né
chi sei, dici solo che vieni da Brancaleone e nulla più”. E perché si
ricordasse l’indirizzo dell’amica glielo crittografò: “Segnò come errori, in
blu, certe parole di un compito, avendo cura che le iniziali, lette di seguito”,
fornissero l’indirizzo, e “quanto al numero civico, segnò le ultime due cifre
dell’anno di nascita di Napoleone”.
Zappone
è un narratore, più che un reporter, quindi come testimone a volte è
inattendibile. Ma i nomi che menziona, cinque o sei, sono reali – e leggevano la
“Gazzetta del Sud”, un quotidiano allora molto diffuso. E non tutte le
circostanze da lui registrate poteva trovarle ne “Il carcere”.
Primi in classifica, della povertà
Il Sud cresce di più del
dato Italia, il Sud esporta di più (aumenta di più le esportazioni in un anno,
in realtà esporta sempre poco e pochissimo), il Sud è “ripartito”. Poi arriva il
Rapporto Eurostat 2024 e certifica che nel 2023 il Sud Italia
è stato tra le aree dell’Unione europea con il più alto tasso di persone a
rischio povertà o esclusione sociale. Con eccezioni, ma il dato complessivo è
quello.
Peggio: l’ufficio statistico europeo assegna alla Calabria
la palma di regione in Europa a più alto rischio di povertà o di esclusione
sociale. Veramente l’ultimissima, col 49,5 per cento di indigenza, uno su due, è
la Guyana francese, un “territorio” tra Brasile e Suriname, quello della
Cayenna, ma conta solo 300 mila persone. La Calabria in realtà non è da meno, anch’essa ha
un povero su due, seppure con una percentuale leggermente minore, il 48,6 per
cento.
Il Sud si può dire non sfigura, in questa classifica
della povertà potenziale. Nel 2023, attesta il rapporto sulle condizioni di
vita in Europa dell’Ufficio statistico dell’Ue, la quota di persone a rischio
di povertà o esclusione sociale più elevata, di almeno il 35,0 per cento, è
stata rilevata in 19 regioni dell’Unione. Tre di queste sono del Sud Italia –
del Sud di uno dei Sette Grandi dell’Occidente: la Calabria è seguita dalla
Campania, col 44,4 per cento, e dalla Sicilia, col 41,4. Poco sotto la linea di
guardia la Sardegna (32,9 per cento), la Puglia (32,2 per cento) e l’Abruzzo
(28,6).
Per converso Eurostat attesta che delle cinque regioni
europee più ricche ben due sono italiane, dell’Italia settentrionale: l’Emilia
Romagna, con appena il 7,4 per cento di povertà potenziale, e la provincia di
Bolzano col 5,8.
Basta poco
Alla ricerca di Corrado
Alvaro nei suoi luoghi natii, negli anni 1960-1970, lo scrittore Domenico Zappone
(“Il pane della Sibilla”) si imbatte in un problema: il legame costante nelle narrative dello scrittore col luogo natale, dal quale però si separò presto e
al quale non tornò mai, se non in morte del padre. Un retaggio “naturale”? “Di
questo paese povero di risorse e ricco di fantasie, incuneato in un angolo
angusto di montagna…..per un dono divino, assommati in sé miti, fantasie e leggende
della sua gente, ne ha fatto parlare gli abitanti come antichi eroi”. Più facile
arguire che Alvaro, scrittore realista di grande fantasia, collocasse le sue
creazioni in un luogo a lui noto ma remoto – San Luca e dintorni, lo Jonio, la
Montagna come location, si
direbbe oggi.
Zappone se ne dà un’altra
ragione, da cronista che riferisce le cose, anche questa per altra ragione
persuasiva: “Si badi alla leggiadria dei nomi delle valli, delle grotte, e dei
monti, al paesaggio sconvolto e popolato di enigmi pietrificati, disseminato di
spaventosi macigni affioranti dalle creste come vestigia di mostri, si ponga
mente alle fantasiose leggende di cui sopra si parla, agli eroi che vi passarono,
al Cristo di cui si dice come di persona conosciuta dai padri, all’esodo delle
popolazioni, ed ecco in parte spiegati molti caratteri magici dell’arte di Alvaro”. Stiamo parlando di San Luca, il posto
rude di “Gente in Aspromonte”, il pozzo senza fondo dei rapimenti di persona e della
mafia della droga. E del “discorso della mafia”. Basta poco per cambiare la
“natura” delle cose. Soprattutto parlandone –le parole non costano, anche se
sono un’arma pericolosa: nei cinema, nelle televisioni, nelle carriere dei
giudici – non c’è altra realtà che la parola che la dice.
“Qui tutto è bello e gentile”, può insistere lo stesso
Zappone in altra occasione, parliamo sempre del temibilissimo San Luca: “I nomi
delle grotte, ad esempio, sono fra i più graziosi: ce n’è una che è detta di
«Sant’Anastasia», un’altra dei «Colombi», un’altra della «Sibilla». Suggestivi
quelli delle valli; della «Castanìa», degli «Oleandri». Strani i nomi delle pietre
(«prache»): «Pietra Longa», «Pietra di Febo
«Pietra Cappa», «di Mariantonia», dell’«Aquila», ed
hanno forma di torri, di castelli, di fiori…”
leuzzi@antiit.eu
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