Annie senza veli
In
apertura il sesso senza più, in albergo di passo, a ore, un fatto fisico come per
l’uomo (un racconto del 1998 “scritto per un giornale femminile italiano”), un
ricordo sull’onda di odori e macchie di sperma: una frenesia che è una sorta di
rivendicazione paritaria – si può “desiderare il membro di un uomo”. Nelle pause
dell’accudimento della madre, alla fine dei suoi giorni nel cronicario. Tre ricordi
della madre seguono in altrettante brevi prose. Un altro racconto sexy chiude la piccola raccolta, “La fëte”, con molto “fumo”
e molta promiscuità. Due temi fra i più ricorrenti della narrativa di Ernaux: la
guerra mai composta con i genitori, pur amabili, ma vecchia Francia, con la
loro memoria, e il desiderio femminile.
Altri
testi sono il ricordo di Jeanne Calment, “la donna più longeva di sempre”, morta
nel 1997, di 122 anni. Di Pierre Bourdieu. Di viaggi a Mosca, al tempo della perestrojika, un anno prima del crollo del Muro, e a Lipsia, un
anno dopo la riunificazione tedesca – viaggi su invito degli istituti francesi
di cultura, ma con poco genio.
Più
a genio negli scritti critici – Ernaux a lungo ha insegnato al liceo. Quello su
Pavese è, pur nella brevità, quanto di meglio si sia letto sullo scrittore
piemontese. “L’ammirabile di Pavese è in questa sospensione del senso e
in questa reclusione in un presente senza scampo” – a proposito di Ginia de “La
bella estate”: “Ginia attraversa la sua prima estate di ragazza nel piacere e i
guai senza misurare la portata dei suoi desideri, delle sue frequentazioni”. Pavese
scrittore tragico, di scrittura essenziale.
In
“Perdersi”, il racconto di un amore folle e molto fisico per uno sconosciuto
russo, la narratrice s’immagina “quella festa in cui io non ci sarò. O
Pavese…”. Pavese ritorna spesso in Annie Ernaux, pur non avendo un posto
speciale oltralpe. Per la sua scrittura di “assoluta necessità”. Partendo
dall’incipit famoso della “Bella estate”: “A quei tempi era sempre festa”. Che
Ernaux vuole antifrastico: la festa non ha luogo, oppure finisce male. Come del
resto nel racconto di Pavese.
Il
saggio inizia annotando, dopo apposita ricerca, che il 27 agosto 1950, quando
Pavese decide di morire, è “giorno di festa”, una domenica. Due i nodi
pavesiani che Ernaux enuclea. “La festa è la forma del tragico di Pavese, forma
dichiarata d’anticipo”. Un tragico che “sembra nascere dal funzionamento
naturale della vita”. E la “scrittura trasparente, intesa, come Pavese dice, a
«presentare senza descrivere»”, una scrittura che “mostra senza analizzare né
giudicare”. Sospensione del senso e presente-prigione sono forse artifici
tecnici, “ma si può bene impiegare questo termine, che è una impossibilità di
raggiungere mai l’Altro (vedi il Diario: «La donna è un popolo
nemico come il popolo tedesco»)”.
L’altro
saggio, sempre breve, “”Littérature et politique”, è una contestazione di Claude
Simon, il Nobel francese prima di Ernaux, della sua pretesa, a proposito del
libro “L’Invitation” pubblicato all’inizio del 1989, di ritorno dalla Russia (anche
lui su invito dell’Istituto di Cultura?), che non parla di Gorbaciov né della perestrojika, “se non in termini allusivi”. Pretendendo che “la
letteratura non ha niente a che vedere con la politica”. Una contestazione dell’“estetismo”,
presentato cone “un valore etico: sarebbe la libertà, l’indipendenza”. Indigeribile.
“La concezione di una letteratura specchio di se stessa…..non la capsico, mi è
quasi dolorosa”. Al contrario, la scrittura “può, sul lungo termine, impregnando
l’immaginario del lettore, renderlo sensibile a delle realtà che ignorava, o
condurlo a vedere altrimenti ciò che considerava sempre sotto lo stesso angolo”.
Dodici testi
brevi, quattro racconti e alcune note di viaggio e critiche, riprese dal volume
“Écrire la vire”, un “tutto Ernaux” Gallimard del 2011. Scritti degli anni tra
il 1984 e il 2006, riproposti a parte come iniziazione alla scrittrice, ai suoi
temi “più ossessivi e fondatori”.
Annie Ernaux, Hotel
Casanova et autres textes brefs, Folio, pp. 98 € 2
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