skip to main |
skip to sidebar
Attorno all’Aspromonte, la Calabria reinventata
Santino
Salerno ha raccolto alcune prose sparse dello scrittore suo conterraneo
dedicate ai “luoghi di Corrado Alvaro”: i luoghi dell’infanzia, e la famiglia,
il fratello sacerdote, don Massimo, la madre che gli sopravvisse, Antonia
Giampaolo. Scritti degli anni 1950-1960. Corredandole di altri scritti su
Polsi, il lungo di culto oggetto del primo scritto di Alvaro, sedicenne,
indotto dallo zio prete, fratello della mamma, che gli insegnava il latino, e
da lui fatto stampare, a firma “Corrado Alvaro, studente liceale”.
Il
filo su cui Zappone si interroga a lungo, ma che riesce a sciogliere, è il peso
enorme del luogo natio nell’opera di Alvaro, aneddoti, personaggi, fantasie,
mitologie, e la sua lontananza dal paese, dove è tornato in trent’anni due o tre
volte, per poche ore, l’ultima in morte del padre – mentre tornerà dopo più
volte, nella vicina Caraffa del Bianco, dove il fratello Massimo era parroco,
per fare visita alla madre. È un mistero su cui Zappone - che per una stagione
lavorò a Roma e una notte conobbe Alvaro, che s’intrattenne con lui come con una
vecchia conoscenza – non risolve. Oppure sì, con la fantasia.
Zappone,
reduce mutilato di guerra, non si ambientò a Roma, e tornò a vivere a Palmi.
Scrivendo racconti, e corrispondenze per vari giornali, Scrittore per una breve
stagione apprezzato e premiato, da ultimo al Cinzano nel 1957 (con Umberto Saba
alla memoria), corrispondente o inviato inventivo, umorale, faceto, è page turner come pochi. La morte, in un
momento di sconforto, a 74anni, il 6 novembre 1976, lo ha seppellito anche nella
memoria.
Salerno
ne ha recuperato alcune sapide corrispondenze, e qualche testo inedito. Corredando
la raccolta di un’introduzione breve e sapidissima, biografica e anamnestica. E
di note brevi che si leggono anch’esse come racconti. La prima, su due lettere
di Sciascia a Zappone, dice quanto la corrispondenza e la biografia di Sciascia
manchino.
Fuori
raccolta altri pezzi di varia curiosità. La Maga Sibilla a Polsi e il “Guerin
Meschino” volgarizzato da Andrea di Barberino. La Madonna di Mileto contesa
ogni anno a luglio – contesa a bastonate – tra i marinai di Mileto e i caprai
di Pentedattilo, allora abitata. Il famoso “bandito” Giuseppe Musolino, interlocutore
compito, già oratore (in sua difesa) di rara eloquenza, nel manicomio di Reggio
dove era stato rinchiuso.
Una
narrativa e un mondo dentro e attorno all’Aspromonte, che si apprezza perché
senza la cappa delle mafie. Molto c’è di San Luca, dei sanlucoti abigeatari
irresistibili. Un Comune peraltro molto ricco, padrone di 10 mila ettari di
bosco. E un paese che non ha mai smesso di farsi il pane in casa, le stesse donne
lo preferiscono - lo preferivano quando Zappone ne scriveva, 50-60 anni fa, e
ancora adesso – allora accendevano il fuoco “ strofinando l’acciarino contro la
polvere del legno secco”. Se non è roba dell’immaginifico Zappone. Che fu famoso
internazionalmente per le storie del pesce spada che si suicida per amore, e di
Bobby, il cucciolo che attraversa lo Stretto a nuoto per tornare dal padrone,
che lo aveva abbandonato a Messina per non poter pagare la tassa comunale sui
cani. Il pesce spada invece si era lasciato morire spiaggiato alla Tonnara di
Palmi per seguire la compagna morta arpionata. Non vere, ma “vere”.
Una
Calabria reinventata. Con molte curiosità. Pentedattilo com’era. Il sensale di matrimoni.
Garibaldi che sempre sbarca a Melito, il 19 agosto 1860 dalla Sicilia, e il 25
agosto 1862 fatale per i suoi disegni risorgimentali. Il vento “terrano”. La
marasca, la varietà di ciliegia – da cui a Zara fanno, o facevano, il
maraschino. Una speciale¸salamoia per le olive. I riti e i miti di Polsi – prima
del sanitarizzazione, a fine Novecento: balli tumultosi, salve di doppiette in
continuazione, e molti capretti sacrificati. E soprattutto Pavese a Brancaleone,
con i ricordi dei “ragazzi” – in realtà quasi tutti suoi coetanei – a cui si
prestava per passatempo a dare lezioni di inglese.
Fanno
racconto pure le note del curatore, per quanto brevi. L’“altro” Sciascia di due – fra le tante - lettere a Zappone. Un articolo disperso di Alvaro, “La
fibbia”. Le sue due poesiole del 1914, anche queste disperse, pubblicate a
Catanzaro, su “Il nuovo birichino calabrese”. La “”banda pelosa”, di strumenti
tradizionali (zampogna, tamburo, piffero di canna, triangolo) suonati da
pastori, caprai, pecorai, vestiti di tela grezza e calzati di “calandrelle”, calzature
di pelle grezza, col pelo. La “discesa” a Polsi da Carmelia.
Domenico
Zappone, Il pane della Sibilla,
Rubbettino, pp. 142 € 12
Nessun commento:
Posta un commento