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giovedì 3 ottobre 2024

Ernaux, o Céline con la museruola

Il padre alla morte, 1983, rivissuto dalla figlia. Di cui scriverà ripensandoci, 1997, “La vergogna”: “Mio padre ha voluto uccidere mia madre una domenica di giugno, nel primo pomeriggio”.
Qui la memoria è empatica, come ora si dice. Anche dei difetti. Comprensiva come mai prima, per distrazione, per il naturale egoismo degli anni di crescita. Per un non conciliato rifiuto della condizione familiare, di operai che si sono fatti bottegai, e lo sono diventati. Mentre la figlia, che hanno voluto agli studi, è lontana. Lo è sempre stata negli anni di scuola, lo è ora fisicamente, in un’altra regione, con la sua propria famiglia, oltre che col lavoro intellettuale.
Una memoria-ricostruzione di una vita talmente particolareggiata che assorbe – come di un personaggio. Benché su un tono non pietoso, non compassionevole. Con una traccia céliniana curiosamente evidente, benché non applicata alla scrittura, alla tecnica di scrittura: la sofferenza-insofferenza dei genitori, contro e per conto loro, di lui e di lei, delle origini, del piccolo commercio, di una casa e un ambiente sofferti come buco da cui fuggire. Più spesso, negli scritti d’occasione, Ernaux si rifà a Pavese, “La bella estate” – mai comunque a Céline. Ma l’amertume è quella. Per un pubblico italiano è il mondo di Fellini che evoca, di “Roma”, “Amarcord”. Ma senza simpatia, anzi con astio.
I dolori anche di una figlia unica. Venuta dopo la morte della prima, di difterite. Quindi oggetto di tutte le attenzioni, ma a disagio. In una famiglia di contadini poi operai, poi bottegai, che si vergognano di esserlo, ma altro non sanno, che “fare i bottegai”.
Un racconto breve, a seguire a quello più lungo, 1981, dedicato alla madre, alle donne della famiglia, “Una donna”. I genitori hanno tutto, compresa una casa “normanna”, del tipo che di lì a poco sarà il modello architettonico di recupero più celebrato, ma soffrono di “un complesso continuo, senza fondo”, per “la paura di essere fuori posto, di vergognarsi”, “l’ombra dell’indegnità”.
Molto eloquente, ma un ricordo secco, freddo. Senza rivalsa, ma nemmeno commiserazione: una constatazione, sdegnata spesso e mai commossa. Senza pietà filiale. L’opera come di un tarlo subdolo. Che si affinerà via via, fino a “Gli anni”, 2008 – coronamento del programma della scrittrice, “scrivere la vita”.
Annie Ernaux, Il posto, L’Orma, pp. 114 € 14

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