Malviventi nuovi e
vecchi si danno la caccia. Stritolando gli innocenti.
La “carne” è
quella, senza prezzo, della “malacarne”, delle pulci insidiose che tormentano la
vita in Aspromonte – una montagna pure serena, la Montagna sul mare, aperta a
tutti da tutti i lati. Quattro ragazzotti hanno l’idea di chiedere 50 milioni a
tre o quattro maggiorenti del paese. Cinquanta milioni l’uno. Con una semplice
telefonata – una volta, con la lettera anonima, bisognava saper scrivere in qualche
modo. Seguita dall’“avvertimento”: una bomba disattivata all’uscio di casa, o un
animale morto, etc. All’ingegnere Gino Parisi – di cui Gangemi fa il suo alter
ego, per occupazione, età, sobrietà – e a un paio di imprenditori di vario e
dubbio passato. Un intrico di famiglie più o meno onorate ne segue, con
concertazioni, dissidi e tranelli, e infine assassinii, in successione.
La ristampa del primo romanzo,
probabilmente, pubblicato da Gangemi, 1995 – col titolo più appropriato, anche
se non di richiamo, “Un anno in Aspromonte”. E si sente. Un po’ affastellato,
di nomi e di persone, con pedigree e “a parte” di cui è arduo tenere le
fila. Resta, si legge per questo, come reperto di una società sempre e
variamente terremotata, impossibilitata a costruire – sono anche gli anni dei
sequestri di persona (qui è adombrato quello del ragazzo Casella, che fu lungo
due anni). Più che un romanzo, l’incubo di chi si risveglia in un mondo che non
è più il suo, ordinato, pulito, borghese – nel senso della borghesia come
ascensore sociale.
Seguire la vicenda – le vicende,
sono tantissime – è impossibile, ma l’immagine è circostanziata e duratura dell’isterilimento
di un mondo. È compreso pure il circolo dei notabili, gli “avvocati”, “dottori”,
“professori”, che più spesso si sono divertiti a Napoli o a Roma senza mai dare
un esame, e sarebbe la borghesia intellettuale, destinata all’eclisse –
parassita, pettegola, stupidamente piena di sé. A fronte dell’abbozzo di borghesia
produttiva contro cui si scagliano i giovinastri telefonisti, che guida,
potrebbe guidare, la comunità, se la legge la proteggesse: l’ingegnere Gino,
naturalmente, ma anche chi ha fatto qualche soldo in America e ritorna e investe
e produce.
Seppure probabilmente casuale, il
sottinteso è: la Repubblica – la politica, i Carabinieri, le banche – ha annientato
il vecchio ceto borghese. “Se hanno i soldi paghino”, “non siamo qui a
proteggere la proprietà”, è stato il leitmotiv della Repubblica, e da allora l’Aspromonte
naviga all’indietro. Senza l’ascensore borghesia, senza ceto dirigente né osmosi
sociale, sono nate le mafie, e le bande sterminatrici – le mafie sono hobbesiane,
della “guerra di tutti contro tutti”. Un’analisi a tutti evidente, eccetto ai
tanti storici e banditori delle mafie.
In chiaro, Gangemi è qui molto
critico verso i Carabinieri, come del resto è ognuno. Compresa la sceneggiata
che si faceva per la tv ai tempi dei rapimenti, sempre la stessa: dei Cacciatori
d’Aspromonte, formazione speciale dei Carabinieri, tutti in nero, che periodicamente
“assaltavano” a beneficio di telecamera sempre lo stesso posto, il Crocefisso
di Zervò, al piano dello Zìllastro.
Un tributo a Domenico Zappone la
festa della santa patrona illuminata dal “ballo dell’asino imbottito di fuochi
d’artificio”.
Mimmo Gangemi, Il prezzo della carne, Rubbettino, pp.
269 € 16
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