La discesa all'inferno dell'americano bianco impoverito
“Ero al primo anno di
liceo, e mi sentivo profondamente infelice”. Tra “le fughe e le liti”, dei vari
genitori, naturali o acquisiti – la madre cambiava spesso marito o compagno - e
“il carosello incessante di persone che dovevo incontrare, imparare ad amare e
poi dimenticare”. Le memorie, sceneggiate e ragionate. di un uomo subito poi di
successo, pubblicate nel 2016, dopo un lungo percorso di riscritture, a 32 anni
– bestseller a lungo in America, in traduzione in ristampa continua dal
2017. Poi in politica, nel partito Repubblicano, come i suoi hillbilly, da due anni senatore, dapprima anti-Trump e ora candidato alla vice-presidenza
di Trump. Lo hanno salvato i quattro anni nei Marines (sei mesi anche in Iraq,
alle relazioni pubbliche con gli iracheni), con la necessità di discipinarsi e
i risparmi per pagarsi poi l’università – molto hillbilly anche lui, Vance
dubita sempre dei prestiti, anche agli studenti.
Una storia strappalacrime,
in altro ambito e ambiente. Di un giovane dato in adozione dal padre a due anni,
nella causa di divorzio, per non lasciarlo alla madre. La madre alcolizzata, drogata.
Il padre uomo buono, cristiano, a cui J.D. non trova nulla da rimproverare, la
volta che dopo qualche anno all’improvviso si rifà vivo, e la volta, morto il
nonno materno, che J.D. decide di andare a vivere con lui, per non gravare sulla
nonna – l’idillio dura solo un’estate. Il padre naturale. Quelli putativi si succedono,
la madre è volubile, pochi anni o pochi mesi, ognuno diverso dagli altri.
Un ragazzo degli Appalachi,
il mondo rurale povero dei bianchi americani. D’improvviso industrializzato, e
poi deindustrializzato: della rust belt, la fascia arrugginita. Cresciuto
dai nonni. E il mondo hillbilly, buzzurro, montanaro, cocciuto, in cui
cresce. Un mondo di origini irlandesi e scozzesi, di ceppo duro, “non ci piacciono
gli estranei e i diversi”. Un tempo solido, e lavoratore. Ora lavativo,
attaccato ai sussidi. Un mondo disadattato, povero anche di spirito, tra alcol
e droghe. A un certo punto Vance legge un’analisi sociologica che con grande
precisione descrive la condizione dei suoi hillbilly, ma è un’indagine psico-socio-economica
sui neri metropolitani.
Una storia di sofferenza personale,
seppure rivissuta da adulto “salvato”, mimando l’allegria del ragazzo, dell’adolescente.
Ma un racconto che si vuole anche quadro sociale. Della vasta zona al cuore
dell’America dal Kentucky all’Alabama. E un ritratto anche politico, della
vasta area dei “bianchi poveri”, una decina di stati, che non lo erano e lo
sono diventati. Un tempo democratica, ora repubblicana – ugualmente arrabbiata
e combattiva, ma indefettibilmente povera, peggio, impoverita. Gli Appalachi
sono un modo di dire più che un’area geografica determinata, “una regione sterminata
che si estende dall’Alabama alla Georgia del Sud”, grandi pianure, grandi
fiumi, “e dall’Ohio ad alcune parti del Nord dello stato di New York”.
Vance, oggi uomo di destra,
politico d’attacco, la foto senza barba del risvolto lo fa un pacioccone, di
una psicologia più convincente della vita tribolata che ha avuto per
vent’anni, unica áncora una nonna mezzo paralitica, sboccata, che sempre minaccia
di prendere la pistola, ma intelligente e generosa. Ma è inevitabile leggerlo con
la lente politica. Che già nel 2014-2015, quando scriveva il libro, e non c’era
ancora Trump, ha netta: “È stato lo spostamento dei Grandi Appalachi dal partito
democratico al partito repubblicano a ridefinire gli assetti politici dell’America
dopo Nixon. Ed è nei Grandi Appalachi che le fortune dei bianchi della classe
operaia sembrano particolarmente in declino. Dalla bassa mobilità sociale alla
povertà, dalla diffusione dei divorzi alla droga endemica, la mia patria è un
luogo d’infelicità”. La prima base di un quadro sociologico, concisa e “esatta”,
che la pur dilagante sociologia politica americana non fa, semplice e chiara,
persuasiva. Un ritratto e un’analisi originali – malgrado l’enorme
pubblicistica americana socio-culturale - dei rapporti familiari e dei criteri
sociali in famiglia e nella comunità (quartiere, villagio) americani. Dalla critica
dura, ma motivata, alle politiche assistenziali, per cui il lavoratore povero
paga, con le sue ritenute fiscali, le bistecche e il marameo al vicino, più
speso la vicina, che non fa nulla. Alla fine della religione, nel cuore della Bible
belt, della fascia bilica, bigotta: “Le istituzioni religiose rimangono
una forza positiva nella vita delle eprsone” ma non sono d’aiuto nella crisi:
“In una parte del Paese afflitta dalla deindustrializzazione, dala disoccupazione,
dall’abuso di alcol e droghe e dal disgregarsi delle famiglie, la pratica religiosa
è crollata”. Ci sono pure le “guerre di Natale”, le azioni legali di gruppi
laici contro i sindaci che fanno il presepe, parte di un’aggressività laica
che fa - faceva? - sentire i cristiani, e gli hillbilly ex operai, gente
comune, “buoni cristiani”, dei perseguitati: “Ho letto un libro di David Limbaugh,
‘Persecution’, sulle discriminazioni ai danni dei cristiani. Internet ribolliva
d’indignazione per le mostre newyorchesi che esibivano immagini di Cristo o della
Vergine Maria coperte di escrementi”. La lettura può anche servire a capire la
divisione dell’America politica, tra fronti da guerra civile.
Un racconto e una
riflessione curati, non di getto, anche se ne dà l’impressione: la scrittura è
riveduta più volte, anche per contributi critici, si argisce dai ringraziamenti.
Un racconto quindi non semplice, forse per questo mativo, la materia sensibile.
Per una lettura impegnativa, riga dopo riga. Ma un racconto sempre pieno, anche
se le disgarzie sono le stesse, ripetute ogni paio di pagine, ogni pagina.
Appassionante come un vechio libro di scoperte, di esploratori.
Un racconto talmente
“onesto”, di una scrittura cioè limpida, e di sintesi obiettive, comunque
incontrovertibili, anche a fare la tara di un editing redazionale
pesante, o la riscruttura di un collaboratore professionale anonimo, da
suscitare meraviglia con l’immagine dell’uomo diventato nel frattempo, due anni
fa, senatore Repubblicano, e ora candidato di Trump alla vice-presidenza.
Le ultime pagine sono in
difesa di Obama, e contro il cospirazionismo dilagante. Prima di entrare in
politica, Vance lavora anche per David Frum, editorialista di “The Atantic”, il
sito e la rivista più ostili a Trump, con martellamento plurigiornaliero. Ma il
fatto è che in America “non c’è gruppo etnico-sociale più pessimista dei
bianchi della classe operaia”, p. 192 - la divisione dell’America non ce la raccontano
giusta?
J.D.Vance, Elegia
americana, Garzanti, pp. 255 €15
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