venerdì 11 ottobre 2024

La discesa all'inferno dell'americano bianco impoverito

“Ero al primo anno di liceo, e mi sentivo profondamente infelice”. Tra “le fughe e le liti”, dei vari genitori, naturali o acquisiti – la madre cambiava spesso marito o compagno - e “il carosello incessante di persone che dovevo incontrare, imparare ad amare e poi dimenticare”. Le memorie, sceneggiate e ragionate. di un uomo subito poi di successo, pubblicate nel 2016, dopo un lungo percorso di riscritture, a 32 anni – bestseller a lungo in America, in traduzione in ristampa continua dal 2017. Poi in politica, nel partito Repubblicano, come i suoi hillbilly, da due anni senatore, dapprima anti-Trump e ora candidato alla vice-presidenza di Trump. Lo hanno salvato i quattro anni nei Marines (sei mesi anche in Iraq, alle relazioni pubbliche con gli iracheni), con la necessità di discipinarsi e i risparmi per pagarsi poi l’università – molto hillbilly anche lui, Vance dubita sempre dei prestiti, anche agli studenti.
Una storia strappalacrime, in altro ambito e ambiente. Di un giovane dato in adozione dal padre a due anni, nella causa di divorzio, per non lasciarlo alla madre. La madre alcolizzata, drogata. Il padre uomo buono, cristiano, a cui J.D. non trova nulla da rimproverare, la volta che dopo qualche anno all’improvviso si rifà vivo, e la volta, morto il nonno materno, che J.D. decide di andare a vivere con lui, per non gravare sulla nonna – l’idillio dura solo un’estate. Il padre naturale. Quelli putativi si succedono, la madre è volubile, pochi anni o pochi mesi, ognuno diverso dagli altri.
Un ragazzo degli Appalachi, il mondo rurale povero dei bianchi americani. D’improvviso industrializzato, e poi deindustrializzato: della rust belt, la fascia arrugginita. Cresciuto dai nonni. E il mondo hillbilly, buzzurro, montanaro, cocciuto, in cui cresce. Un mondo di origini irlandesi e scozzesi, di ceppo duro, “non ci piacciono gli estranei e i diversi”. Un tempo solido, e lavoratore. Ora lavativo, attaccato ai sussidi. Un mondo disadattato, povero anche di spirito, tra alcol e droghe. A un certo punto Vance legge un’analisi sociologica che con grande precisione descrive la condizione dei suoi hillbilly, ma è un’indagine psico-socio-economica sui neri metropolitani.  
Una storia di sofferenza personale, seppure rivissuta da adulto “salvato”, mimando l’allegria del ragazzo, dell’adolescente. Ma un racconto che si vuole anche quadro sociale. Della vasta zona al cuore dell’America dal Kentucky all’Alabama. E un ritratto anche politico, della vasta area dei “bianchi poveri”, una decina di stati, che non lo erano e lo sono diventati. Un tempo democratica, ora repubblicana – ugualmente arrabbiata e combattiva, ma indefettibilmente povera, peggio,  impoverita. Gli Appalachi sono un modo di dire più che un’area geografica determinata, “una regione sterminata che si estende dall’Alabama alla Georgia del Sud”, grandi pianure, grandi fiumi, “e dall’Ohio ad alcune parti del Nord dello stato di New York”.
Vance, oggi uomo di destra, politico d’attacco, la foto senza barba del risvolto lo fa un pacioccone, di una psicologia più convincente della vita tribolata che ha avuto per vent’anni, unica áncora una nonna mezzo paralitica, sboccata, che sempre minaccia di prendere la pistola, ma intelligente e generosa. Ma è inevitabile leggerlo con la lente politica. Che già nel 2014-2015, quando scriveva il libro, e non c’era ancora Trump, ha netta: “È stato lo spostamento dei Grandi Appalachi dal partito democratico al partito repubblicano a ridefinire gli assetti politici dell’America dopo Nixon. Ed è nei Grandi Appalachi che le fortune dei bianchi della classe operaia sembrano particolarmente in declino. Dalla bassa mobilità sociale alla povertà, dalla diffusione dei divorzi alla droga endemica, la mia patria è un luogo d’infelicità”. La prima base di un quadro sociologico, concisa e “esatta”, che la pur dilagante sociologia politica americana non fa, semplice e chiara, persuasiva. Un ritratto e un’analisi originali – malgrado l’enorme pubblicistica americana socio-culturale - dei rapporti familiari e dei criteri sociali in famiglia e nella comunità (quartiere, villagio) americani. Dalla critica dura, ma motivata, alle politiche assistenziali, per cui il lavoratore povero paga, con le sue ritenute fiscali, le bistecche e il marameo al vicino, più speso la vicina, che non fa nulla. Alla fine della religione, nel cuore della Bible belt, della fascia bilica, bigotta: “Le istituzioni religiose rimangono una forza positiva nella vita delle eprsone” ma non sono d’aiuto nella crisi: “In una parte del Paese afflitta dalla deindustrializzazione, dala disoccupazione, dall’abuso di alcol e droghe e dal disgregarsi delle famiglie, la pratica religiosa è crollata”. Ci sono pure le “guerre di Natale”, le azioni legali di gruppi laici contro i sindaci che fanno il presepe, parte di  un’aggressività laica che fa - faceva? - sentire i cristiani, e gli hillbilly ex operai, gente comune, “buoni cristiani”, dei perseguitati: “Ho letto un libro di David Limbaugh, ‘Persecution’, sulle discriminazioni ai danni dei cristiani. Internet ribolliva d’indignazione per le mostre newyorchesi che esibivano immagini di Cristo o della Vergine Maria coperte di escrementi”. La lettura può anche servire a capire la divisione dell’America politica, tra fronti da guerra civile.
Un racconto e una riflessione curati, non di getto, anche se ne dà l’impressione: la scrittura è riveduta più volte, anche per contributi critici, si argisce dai ringraziamenti. Un racconto quindi non semplice, forse per questo mativo, la materia sensibile. Per una lettura impegnativa, riga dopo riga. Ma un racconto sem
pre pieno, anche se le disgarzie sono le stesse, ripetute ogni paio di pagine, ogni pagina. Appassionante come un vechio libro di scoperte, di esploratori.

Un racconto talmente “onesto”, di una scrittura cioè limpida, e di sintesi obiettive, comunque incontrovertibili, anche a fare la tara di un editing redazionale pesante, o la riscruttura di un collaboratore professionale anonimo, da suscitare meraviglia con l’immagine dell’uomo diventato nel frattempo, due anni fa, senatore Repubblicano, e ora candidato di Trump alla vice-presidenza.
Le ultime pagine sono in difesa di Obama, e contro il cospirazionismo dilagante. Prima di entrare in politica, Vance lavora anche per David Frum, editorialista di “The Atantic”, il sito e la rivista più ostili a Trump, con martellamento plurigiornaliero. Ma il fatto è che in America “non c’è gruppo etnico-sociale più pessimista dei bianchi della classe operaia”, p. 192 - la divisione dell’America non ce la raccontano giusta?
J.D.Vance, Elegia americana, Garzanti, pp. 255 €15

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