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La presenza di un’assenza – all’ombra di Pavese
“Non hai altra
esistenza che attraverso la tua impronta sulla mia”. Ma indicibile,
inconoscibile, solo scritta, “creata”. Con pochi reperti: una conversazione
casuale carpita, un paio di foto, rari ricordi di rare cugine.
La scoperta a dieci
anni, ascoltando distrattamente la madre che scambiava i saluti con una signora
di passaggio, di avere avuto una sorella. Premorta – “quella sì che era
gentile, non questa diavolessa”. Una domenica d’agosto, che la rinvia al diario
di Pavese, alla domenica di agosto quando si uccise – Pavese è un rinvio
costante nell’opera di Ernaux. Una morte a cui deve la sua vita, riflette ora, giacché
in famiglia il motto era: “Non si potrebbe fare per due ciò che si può fare per
uno”. Una scoperta a cui si sovrappone il ricordo della morte evitata, per
tetano, da bambina, infezione a cui quasi nessuno sopravvive – come se la morta
doppiamente l’abbia voluto viva (un miracolo, che la madre celebrò con un viaggio
di ringraziamento a Lourdes, malgrado la guerra e le restrizioni). La sorella
mai conosciuta diventa di volta in volta una figura del “repertorio personale
dell’immaginario”, “la santa”, “l’ombra malefica della mia infanzia”.
Un ulteriore
tributo alla madre, di fatto, dopo “Una donna”. E a Pavese: la rimemorazione di
un’esistenza scoperta per caso una domenica dì agosto, “forse quella in cui
Pavese si suicidava in una casa di Torino”, sono le ultime parole – di una sorella
che si chiamava Ginette, come la Ginia di Pavese.
Annie Ernaux, L’altra
figlia, L’Orma, pp. 81 ill. € 10
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