La Russia, un’altra Europa
La Russia non se la passa male in
guerra: i russi mangiano, si vestono, vanno in vacanza, anche all’estero, come solevano,
e non contestano la guerra. Aumenta il pil del 4 per cento. E può permettersi di aumentare la spesa militare a oltre
il 30 per cento della spesa federale, senza rischio di bancarotta. Com’è possibile,
in un paese sotto sanzioni dall’Occidente fin nei minimi aspetti, nel più piccolo
interstizio? Con produzione e vendita di petrolio greggio e gas, le più basse
degli ultimi quindici anni, che arrivano a coprire il 28 per cento delle entrate
valutarie, mentre erano in bilancio per oltre il 50 per cento.
E la guerra, anche se Mosca si ostina a
ridurla a “operazione speciale”, una sorta d’intervento di polizia? Le cifre
dei danni di guerra, morti, distruzioni, sono senz’altro manipolate dalla propaganda.
Ma anche la metà dei duecentomila soldati russi dati per morti nei due anni e
mezzo in Ucraina è un numero rilevante. In realtà della guerra si sa poco e
niente, a parte la propaganda. E della Russia ancora meno, benchè esista da un
millennio almeno. Non si può dirne hic sunt leones perché è divisa fra
tundre e fiumi – e non ha nemmeno gli ippopotami. Ma è altrettanto sconosciuta,
benché parte della storia dell’Europa - anche se non sempre con beneficio (ma
chi è senza colpa?) Che questa guerra non susciti una reazione in Russia, un’opposizione,
e che la Russia malgrado le decine di sanzioni economiche non stia male nella
vita corrente, di ogni giorno, può anche essere una delle tante carenze dell’informazione
sulla Russia - a parte i luoghi comuni: lo zar, il Kgb, la disinformacija,
instagram, tiktok, ora l’intelligenza artificiale.
La Russia è un paese grande, due volte
l’Europa – senza la Turchia. Ed è un paese composito, di più popolazioni o
etnie: cica 160, per un centinaio di lingue parlate. Una federazione di ventuno
repubbliche autonome (ventiquattro ufficialmente, con Crimea, Lungansk e
Donesk), ognuna con un proprio governatore e un proprio parlamento, e la possibilità
di adottare la proria lingua accanto al russo. È anche il paese che, alla pari
con la Cina, ha il maggior numero di Stati confinanti, quattordici. Più il
confine marittimo, con gli Stati Uniti e con il Giappone.
Il federalismo russo, analogamente a
quello americano, è molto redistributivo: vede un intervento massiccio dello Stato
centrale, della federazione, nella legislazione in generale e, soprattutto, nell’economia.
Con una filosofia di fondo analoga a quella italiana della Repubblica e poi europea,
della riduzione del dualismo, fra le regioni ricche e quelle meno ricche.
Di questo “federalismo di Stato” era in
programma la rimodulazione prima della guerra. La regionalizzazione non intacca
il centralismo: dieci regioni sono più o meno autonome, rappresentando la metà
abbondante, con un terzo della popolazione, del pil totale della Federazione, le
altre sono sovvenzionate da Mosca.
I trasferimenti in buona misura sono politici,
non tanto di perequazione socio-economica: Crimea e Sebastopoli, il 2 per cento
della popolazione complessiva, beneficiano quest’anno del 6-7 per cento dei
trasferimenti. L’Estremo Oriente, 6 per cento della popolazione, del 15-16 per
cento. Il Caucaso settentrionale (con e attorno alla Cecenia), 5 per cento della
popolazione, del 10 per cento dei trasferimenti.
L’economia è ora diversificata, da Stato
industriale. Le principali regioni petrolifere non arrivano al 10 per cento del
totale del pil. Mettendo nel conto, oltre al valore aggiunto delle compagnie
di produzione di petrolio e di gas, la raffinazione, le attività di
costruzione, di trasporto, di fabbricazione di materiale specifico, nonché la
fiscalità sulle retribuzioni pagate dal comparto. Si sono sviluppate le attività
metalmeccaniche, legate agli armamenti. Ma anche quelle di beni di consumo,
alimentare e dell’abbigliamento. E le opere pubbliche.
Il decentramento è anche economico. L’area
di Mosca era e resta di gran lunga la più ricca – è anche considerata tra le
prime cinque più grandi aree economiche al mondo: produce il 20 per cento del
pil della Federazione, il 18 per cento degli investimenti, il 17 per cento del
reddito delle famiglie, il 34 per cento dei depositi bancari. Ma la guerra ha
già portato a modifiche rilevanti nella distribuzione della produzione e del
reddito su base geografica, regionale. A fine 2023 i contributi al bilancio
consolidato della Federazione di altre regioni che non la moscovita risultavano
in fortissimo aumento: specie le regioni a specializzazione metalmeccanica, o
dei settori di largo consumo. Beneficiari indiretti della forte spesa pubblica,
le regioni dell’Amur sono cresciute del 176 per cento in due anni, di Tula del
103 per cento, San Pietroburgo dell’87 per cento, e in misura minore ma
cospicua altre aree della Russia centrale, del Volga e degli Urali.
Gli autonomismi regionali sono in
queste condizioni disarmati. Alla caduta dell’assetto sovietico le spinte
autonomistiche erano arrivate al limite della secessione. È contro questo
rischio che Putin ha preso il potere, chiamato dallo stesso Yeltsin, il
presidente impotente. Putin ha ricompattato la federazione. Che ora la guerra
gli frastaglia nuovamente. È su questo aspetto, politico, del rapporto dei
territori con il centro, che le sanzioni potrebbero avere avuto efficacia.
Le sanzioni, col blocco degli investimenti
e delle attività delle imprese straniere, hanno colpito gli oblast (provincia-piccola
regione) di Kaluga e Novgorod attorno a Mosca, le repubbliche di Carelia (confine
con la Finlandia) e del Komi, e il Territorio del Litorale in Estremo Oriente.
Nel Komi la produzione di carbone è crollata di almeno un terzo, Kaluga è stata
colpita dal blocco della produzione straniera di auto, VW compresa, vedendosi il
pil ridotto di un quinto nel primo anno di guerra.
La Russia è certamente un’Europa
diversa. Lisa Foa, che negli anni 1960-1970 seguiva per “Rinascita”, il settimanale
del partito Comunista, le questioni economiche nell’Unione Sovietica, rilevava
nelle memorie qualche anno fa (“È andata così): “Come spiegarsi tutta
un’attività di repressione e di sgozzamenti” che non suscita una rivolta, anzi
“i fedelissimi accettavano comunque di essere stritolati”? E proseguiva
elencando una serie di follie: eliminare “scienziati, generali, scrittori, operai….
affamare i contadini….puntare solo sull’industria pesante”, senza beni di
consumo. E aprire cliniche psichiatriche, si può aggiungere, invece dei gulag
non più praticabili. Non si spiega: ci dev’essere una follia russa – anche se
le arti, le lettere, la poesia non ne recano traccia.
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